ROMA. La vicenda Telekom Serbia si snoda nell'arco di sei anni. Un affare internazionale diventa a poco a poco una bagarre nazionale.
Cinque i passaggi importanti. Giugno 1997, quando la Stet decide di comprare una quota di Telekom Serbia. Febbraio 2001, quando un'inchiesta di Repubblica avanza il sospetto di una tangente da 26 miliardi di vecchie lire finita su conti offshore a personaggio che il quotidiano non è però in grado di identificare. Luglio 2002, quando viene istituita la commissione parlamentare d'inchiesta Telekom Serbia.
Gennaio 2003, quando Igor Marini viene identificato dopo l'arrivo di una lettera anomima alla commissione parlamentare e parla di una tangente da 450 miliardi per i politici italiani del centrosinistra. Luglio 2003, quando Marini, dopo essere stato arrestato in svizzera, viene estradato in Italia e comincia a rivelare nuovi nomi.
Giugno 1997, l'acquisto. Tommaso Tommasi di Vignano, amministratore delegato della Stet, acquista per 893 milioni di marchi il 29 per cento di Telekom Serbia. C'è un partner estero, la Ote greca. La trattativa viene condotta da lord Hurd, ex ministro degli esteri inglese e all'epoca amministratore della banca d'affari Natwest. Hurd è ben introdotto a Belgrado per aver portato a termine la fase preliminare agli accordi di pace di Dayton, con la quale fu chiusa la crisi di Sarajevo. La vendita di un pezzo di Telekom Serbia era ossigeno per Slobodan Milosevic. Con il ricavato, si disse, avrebbe pagato gli stipendi agli statali e le pensioni. Qualcuno sospettò - e sospetta tuttora - che li abbia usati per riarmare il proprio esercito e prepare l'invasione del Kosovo. Nel marzo 1999, quando la Nato comincia a bombardare la Serbia da molte parti si chiede se il governo italiano, allora di centrosinistra, non avesse commesso un errore. L'acquisto di Telekom Serbia viene comunque ancora considerato solo un cattivo affare.
Febbraio 2001, l'inchiesta di Repubblica. Sul quotidiano La Repubblica appare questo titolo: "Le tangenti di Milosevic-Telecom in Serbia: il protocollo segreto tra Roma e Milano". Si parla di pagamenti in contanti che viaggiano in sacchi di juta fra l'Italia e la Grecia. Di un sovraprezzo chiesto dalla Stet alla Natwest quando si è trattato di stimare l'affare. Di informazioni che il governo non poteva non avere. Il ragionamento, rispetto a questo particolare, era semplice. Se Stet allarga i suoi interessi nei Balcani non possono esserne all'oscuro la presidenza del consiglio (allora Prodi), il ministero degli esteri (Dini e Fassino), quello del Tesoro (Ciampi) e delle Poste (Maccanico). Luglio 2002, la commissione. L'Italia ormai è governata dal centr destra. Gli anni precedenti al premierato di Berlusconi vengono messi sotto la lente d'ingrandimento. Dopo settimane di scontro sull'impostazione, il Parlamento decide di istituire una commissione d'inchiesta sull'affare Telekom Serbia. A Torino, intanto, la magistratura ha ricevuto denunce dai radicali. Le indagini non portano da nessuna parte ma si incroceranno, a un certo punto, con quelle su una brutta storia di riciclaggio internazionale per la quale Igor Marini è attualmente detenuto.
Gennaio 2003, l'arrivo di Marini. La commissione Telekom Serbia indaga con prudenza, più attenta alle questioni politiche e alle responsabilità storiche che ad eventuali implicazioni penali. Una lettera anonima suggerisce l'esistenza di tangenti per i politici italiani e di ascoltare Igor Marini, mediatore d'affari ricercato dalla magistratura svizzera per truffa e riciclaggio. Marini, in audizione, fa i nomi di Dini, Fassino e Prodi, chiamandoli Ranocchio, Cicogna e Mortadella.
Luglio 2003, Marini in carcere. Igor Marini viene estradato in Italia dalla Svizzera. Viene posto sotto protezione nel carcere delle Vallette a Torino, anche su richiesta di Enzo Trantino (An) presidente della commissione Telekom Serbia. Marini è in carcere per una vicenda di truffa e riciclaggio. Avrebbe tre complici: l'avvocato Fabrizio Paoletti e due slavi. Uno di questi ultimi si costituisce alla fine di agosto e viene rinchiuso nel supercarcere di Novara. Tutti ammettono responsabilità più o meno alte nella truffa, eccetto Marini. Lui è il solo a sostenere che il denaro veniva fatto girare per far scomparire le tangenti al centro sinistra. (l.v.)