L’assessore regionale Luca Ciriani ha il merito di chiudere la disputa sulla costruzione del nuovo carcere a Pordenone ammettendo che “ Il carcere non ha copertura, nè regionale nè statale”. Coloro che, a vario titolo hanno promesso e assicurato tale progetto ora dovranno ricredersi e dare subito una risposta all’emergenza della struttura detentiva anche a Pordenone.
Di fronte a una flagranza di reato di uno Stato che non riesce a dare risposte ai cittadini in attesa di giustizia e ai detenuti costretti in celle in condizioni invivibili, con la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo che a proposito della situazione italiana parla di “trattamento inumano e degradante” dei detenuti in carceri sovraffollate e non attrezzate, mi aspetto che anche i vertici della Regione a livello politico si confrontino con la realtà carceraria e della giustizia.
All’assessore Luca Ciriani consiglio di dare un’occhiata a ciò che sta succedendo nelle carceri, con oltre trentamila aderenti all’iniziativa nonviolenta promossa in questi mesi da Marco Pannella all’interno delle carceri, con centinaia di adesioni tra giuristi e direttori delle carceri, per riaffermare la necessità dell’amnistia come riforma strutturale.
L’amnistia necessaria ad una riorganizzazione degli uffici giudiziari e ad una redistribuzione dei carichi di lavoro tra giustizia penale e giustizia civile, la cui insostenibile lunghezza è tra le cause non secondarie della ritrosia ad investire nel mercato interno e delle difficoltà a fare impresa. Anche per questo è l’insieme della società italiana a subire le ripercussioni, dirette e indirette, provocate dalla paralisi della giustizia civile e penale.
L’amnistia necessaria anche per il suo effetto deflattivo carcerario, in considerazione dell’elevata percentuale di detenuti in attesa di giudizio attualmente reclusi in custodia cautelare, spesso in espiazione anticipata di una pena che non ci sarà: secondo dati ufficiali del DAP, infatti, il 40% della popolazione carceraria non è stata condannata in via definitiva e il 20% attende, dietro le sbarre, il primo verdetto.
L’amnistia necessaria, in secondo luogo, a ristabilire il principio di eguaglianza nell’esercizio dell’azione penale. Nell’attuale condizione patologica della giustizia italiana, il numero di processi che, anno dopo anno, si interrompono per intervenuta prescrizione raggiunge vette da vertigine: 159.533 (nel 2006), 163.860 (nel 2007), 154.533 (nel 2008), 158.953 (nel 2009), 141.453 (nel 2010), secondo dati ufficiali ministeriali. E’ una prescrizione di classe oltre che di massa, accessibile solo a chi si può permettere avvocati tecnicamente capaci, dunque costosi.
C’è bisogno che le ragioni dell’amnistia siano conoscibili dai cittadini affinchè, dopo dibattiti pubblici, diventino maggioritarie e non restino invece facile gioco di contrapposizione dei partiti che sposano la via giustizialista come grimaldello elettorale con chi vuole riaprire il dibattito per assicurare la riforma della giustizia nel nostro Paese.