L’allarme dal geologo Tosoni: «Messo in pericolo l’equilibrio del Cellina e dell’Arzino»
Da una parte due delle valli più belle del Friuli, dall’altra le esigenze di chi vuol produrre energia «Vale davvero la pena di sacrificare gli ultimi torrenti rimasti per ottenere qualche kilowatt in più?»
IL PROBLEMA
I deflussi minimi vitali sono spesso insufficienti al fabbisogno energetico voluto dai progettisti
L’equilibrio del Cellina e dell’Arzino è a rischio, e con esso lo sviluppo turistico e l’ambiente di due delle valli più belle del Friuli. A lanciare il monito è il geologo Dario Tosoni, convinto degli effetti negativi che vi sarebbero nell’area se il proliferare di progetti per l’installazione di centraline idroelettriche si traducesse in altrettante opere. Il gioco, secondo l’esperto, non vale la candela, in quanto «la mancata produzione energetica che ne deriverebbe potrebbe essere recuperata attraverso l’efficienza energetica e l’uso di fonti veramente rinnovabili e dalle enormi potenzialità, come l’eolico, la biomassa, il fotovoltaico e, non ultime, le risorse geotermiche custodite nella bassa friulana (ad esempio nella zona di Latisana)».
Cellina. «In Valcellina le istanze di derivazione d’acqua recentemente presentate sono circa una decina – spiega Tosoni - e andranno a distruggere i pochi tratti del Cellina ancora intatti. Nel comune di Andreis è prevista la derivazione del Rio Ledron, con un’opera di presa a quota 444 metri sul livello del mare e restituzione delle acque a quota 392 metri. Nei pressi di Claut una presa preleverà le acque del torrente Settimana a quota 570 metri sul livello del mare, restituendole a quota 474 metri, sulla sponda sinistra del torrente Cellina. In località Pian dei Sedici, a monte di Cimolais, una presa capterà le acque del torrente Cimoliana lasciando all’asciutto l’ampio tratto d’alveo a monte del capoluogo comunale».
Arzino. Non andrebbe meglio per l’Arzino, «l’ultimo fiume intatto e selvatico dell’intero Friuli». «Lungo il suo corso, già impoverito dai prelievi di un acquedotto costruito alcuni anni or sono sul Comugna, suo principale affluente, saranno realizzati due impianti di derivazione, con devastanti conseguenze per l’ambiente – ha evidenziato Tosoni - Il primo interesserà l’alta valle, a monte di San Francesco: una presa in località Chiavalarias, a quota 590 metri sul livello del mare, convoglierà le modeste portate presenti nell’alveo fino alla borgata Marins, prosciugando un tratto di fiume lungo più di tre chilometri. Una minaccia ben maggiore si profila per il corso inferiore. In località Taimassa di Pert, una presa a quota 265 metri convoglierà in galleria le acque dell’Arzino fino in località Sequalins, sconvolgendo e distruggendo irrimediabilmente il corso inferiore del fiume».
Le conseguenze. I problemi si creano perchè i deflussi minimi vitali sono quasi sempre insufficienti, «un artificio per mettere a posto le coscienze di chi costruisce le centraline elettriche e di chi concede le derivazioni». «La realtà desolante che si può osservare a valle delle opere di presa è, invece, sempre la stessa: alvei appena umidi – ha analizzato il geologo - punteggiati da pozze di acqua salmastra in cui a stento riescono a sopravvivere alcuni pesci, nell’attesa spasmodica di piogge che possano aumentare temporaneamente la portata, per dare una temporanea vitalità a un corso d’acqua ormai estinto». Ai problemi di ordine ecologico si affiancano, secondo Tosoni, la perdita di capacità drenante degli alvei, senza contare lo spopolamento e l’abbandono di queste aree. «Questi interventi di derivazione – ha insistito il geologo - andrebbero visti nel contesto ambientale in cui vengono fatti. Non si tratta di realizzare un’opera di derivazione in un ambiente incontaminato. La montagna pordenonese ospita già numerose opere idroelettriche e ha pagato un pesante prezzo in termini ambientali per garantire al paese l’energia di cui ha bisogno. Val la pena, quindi, sacrificare gli ultimi torrenti rimasti per pochi kilowatt ora?».