Le giunte comunali, dell'uno e dell'altro fronte, rafforzano la presa sulle società municipali
Il sindaco di Roma è intervenuto sui vertici di Acea. A Genova la Vincenzi chiede garanzie. Il caso Palermo
Romani, milanesi, bresciani, genovesi e bolognesi si consolino: le vette di città come Palermo o Latina sono irraggiungibili. Fino allo scorso anno al vertice dell'Arnia, la municipalizzata palermitana che perdeva 3 milioni e mezzo di euro al mese e i cui bilanci sono finiti sotto la lente della magistratura, c'era addirittura un senatore: Vincenzo Galioto. Che risulta comunque ancora amministratore unico della controllata Amia servizi, al cui vertice è stato nominato il 16 maggio del 2008, cioè dopo essere entrato a palazzo Madama. A Latina, invece, un altro senatore in carica (dello stesso partito, il Popolo della libertà) siede tranquillamente, e da tre anni, alla presidenza della municipalizzata dell'acqua, di cui sono azionisti il comune pontino e la francese Veolia.
Inutile dire che le evidenti incompatibilità non hanno mai dato luogo a nessuna iniziativa istituzionale per risolvere il problema. Quindi, se serviva una dimostrazione lampante di come la politica controlli le aziende locali, eccola. Certamente si tratta di casi limite. Certamente, in altre circostanze la politica si muove con passo più felpato. Ma non allenta comunque la presa, nemmeno se le società pubbliche in questione sono quotate in Borsa.
A Genova il sindaco di centrosinistra, Marta Vincenzi, ha dato il proprio consenso alla municipalizzate Enia e Iride a patto che nello statuto della nuova società venga sancito che almeno il 51% delle azioni rimanga nelle mani di «enti pubblici». Con quello che ne consegue, evidentemente, sul piano della scelta dei manager.
A Roma il nuovo sindaco di centrodestra, Gianni Memanno, ha fatto sloggiare dopo il suo arrivo i vertici dell'Acea: tanto il presidente Fabiano Fabiani quanto l'am ministratore delegato Andrea Mangoni se ne sono andati. Il giorno dell'uscita di scena di Mangoni il titolo della municipalizzata romana è crollato in Borsa, lasciando sul terreno il 9,88% del suo valore. Durissimo il commento del socio del comune di Roma, il gruppo franco-belga Suez. Jean-Luis
Chaussade, amministratore delegato di Suez Environment e componente del consiglio dell'Acea l'ha giudicata «una decisione che va contro gli interessi dei soci di minoranza». Al posto di Mangoni Alemanno ha nominato una vecchia conoscenza della politica: Marco Staderini, uomo considerato legatissi-
mo al leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini che lo aveva voluto come proprio rappresentante ai vertici di molte aziende pubbliche, dalla Rai alle Ferrovie.
Sono fatti che non possono non indurre a una riflessione. Chi acquista in Borsa azioni di una società municipalizzata certamente ha un vantaggio: compra titoli di un'impresa che opera nel proprio territorio senza concorrenti. Ma lo stesso investitore deve anche sapere che quei titoli incorporano un rischio di altro genere: il rischio politico. Un rischio che nessun'altra impresa quotata ha. Ragion per cui la stessa quotazione in borsa di aziende di questo tipo rappresenta decisamente un'anomalia. Traducendosi soprattutto a vantaggio dei manager che le gestiscono in un'ottima occasione per moltiplicare i loro guadagni. I numeri sono stati pubblicati proprio nelle scorse settimane sul sito del ministero del la Funzione pubblica. E sono molto istruttivi. Il presidente del consiglio di gestione di A2A, Giuliano Zuccoli, ha percepito nel 2008 una retribuzione di un milione 317 mila euro. Il presidente del consiglio di sorveglianza della stessa azienda, quel Renzo Capra ora silurato dai suoi azionisti, aveva invece diritto a 700 mila euro. Il doppio di quanto guadagna il presidente della Hera holding Tomaso Tommasi di Vignano, destinatario della pur rispettabile somma di 334 mila euro.
Si potrebbe obiettare che anche le grandi imprese statali quotate si trovano nella stessa situazione: sia l'Eni che l'Enel e la Finmeccanica hanno i vertici nominati dal governo, quindi dalla politica. Verissimo. Ed è vero che si tratta di società non contendibili. Ma intanto non c'è nessuna norma, come invece per le municipalizzate, che impedisca allo Stato di scendere al di sotto della soglia di contendibilità (il 30%). E poi si tratta di società che vedono la concorrenza un po' più da vicino, almeno sul mercati esteri. Dove da qualche tempo prova a presentarsi anche qualche municipalizzata. Con risultati spesso da barzelletta.