You are here

Bolzonello: dialogo contro l’odio Pordenone non è una città violenta

Testo: 

L’INTERVISTA

Appello a famiglie e scuola affinché vengano preservati i valori della responsabilità collettiva e della tutela dei diritti «Non credo ad alcune ricostruzioni di quanto è avvenuto: da noi la gente non è omertosa e non si volta dall’altra parte»

Un’episodio grave, ma che non identifica la città. In quanto tale, però, è un campanello d’allarme che merita di essere ascoltato nella sua drammaticità e che va spento alzando la voce del dialogo e della coesione sociale. L’aggressione al disabile omosessuale costringe la città, nuovamente, a interrogarsi su se stessa. Epicentro della provincia tranquilla, se non fosse per Unabomber, Pordenone vive le contraddizioni della mai compiuta transizione verso nuovi modelli sociali. Così le baby gang, le violenze sessuali, le aggressioni dei disabili, seppur fatti isolati e non sistematici, fanno tremare il sistema che fa fatica a credere che il vicino di casa, l’avventore del bar possa trasformarsi in un violento, che usa la forza contro chi non ne ha.
Sindaco Bolzonello, i riflettori dei media nazionali si sono tornati ad accendere su Pordenone per fatti di criminalità. E’ preoccupato?
«Partiamo dall’epilogo di questa vicenda. Le forze dell’ordine sono riuscite a individuare in pochissimo tempo gli aggressori con un’accurata indagine. Questo vuol dire che la città è sicura, grazie anche alle telecamere installate dal Comune».
Hanno avuto un ruolo determinante gli occhi elettronici collocati in alcuni punti centrali del capoluogo?
«Da quanto so, hanno contribuito ad accertare le responsabilità nell’ambito delle attività investigative che sono state condotte dagli uomini della Questura. Il comando della Polizia municipale ha fornito in maniera tempestiva i filmati non appena sono stati chiesti».
Teme che il disagio sia in aumento e che dovremo abituarci a fatti di questo tipo?
«Chiariamo bene i contorni della vicenda. Siamo dinanzi a un fatto di gravità notevole: un disabile che viene dileggiato in quanto gay, spintonato, al quale viene sferrato un calcio. Un episodio spregevole che, per fortuna, non ha avuto conseguenze fisiche gravi. Fin qui la vicenda in sè».
Tende a sminuire?
«No, tutt’altro. Voglio solo dire che si tratta di un fatto isolato, come quelli che sono accaduti in passato, che non è lo specchio della città. Pordenone non è un luogo violento, la sicurezza è garantita e lo dimostra il fatto che gli aggressori sono stati individuati».
I cittadini possono dormire sonni tranquilli?
«Il problema non è la sicurezza personale, che non è messa in discussione, quanto l’attenzione che dobbiamo porre a questi fenomeni. Sono fatti isolati, ma ci impongono di tenere la guardia alta perché non possiamo permetterci di perdere valori che sono fondamentali, come quello della coesione sociale».
Un patrimonio che si difende piazzando telecamere dappertutto?
«No, la vera arma in grado di contrastare questi fenomeni, relegandoli alla cronaca occasionale, è il dialogo, la capacità di interpretare il proprio ruolo come parte della società. Dobbiamo essere una comunità compatta, che marginalizza i violenti. E lo possiamo fare solo se manteniamo quel tessuto di coesione che è fatto di responsabilità collettiva, una presa di coscienza che non può avere interruzioni. Il fatto accaduto è grave a prescindere dalle conseguenze fisiche per l’aggredito: ci sono state tre persone che hanno pensato di trasformare un passante in un fenomeno da baraccone. Questo è inaccettabile. La difesa dei diritti di ognuno, incluso quello dell’orientamento sessuale, è il cemento di una comunità e la responsabilità vuol dire non alzare la voce, non gridare sempre “al lupo al lupo”, non diffondere la paura verso gli altri. Giorno dopo giorno, partendo dalle famiglie e continuando nella scuola, dobbiamo insegnare che i diritti individuali vanno difesi sempre».
Questa volta gli immigrati non c’entrano...
«Proprio così. Siamo in una città col 15 per cento di extracomunitari appartenenti a oltre 100 nazionalità diverse. Nonostante ciò i tassi di violenza sono bassi, la tolleranza è diffusa. Il nostro compito è fare in modo che queste condizioni non cambino e sappiamo bene, come ho ricordato in passato, che la cosa non è facile».
Cosa le ha dato fastidio, oltre evidentemente a quanto accaduto?
«L’idea, emersa in un primo momento dal racconto mediatico dei fatti, che mentre avveniva l’aggressione la gente si è girata dall’altra parte. Non mi pare che sia stato così. L’episodio, come emerge dalla ricostruzione degli investigatori, è più complesso, qui non esiste omertà, è sbagliato far passare i pordenonesi come gente che se ne frega degli altri».

Data: 
Venerdì, 13 March, 2009
Autore: 
STEFANO POLZOT
Fonte: 
MESSAGGERO VENETO - Pordenone
Stampa e regime: 
Condividi/salva