INTERVENTO TIBET
Grazie Presidente, colleghi e colleghe,
Premetto che questa mozione è stata presentata lo scorso maggio e presenta perciò alcuni contenuti ormai datatati come il riferimetno alle Olimpiadi di Pechino. Il caso però ha voluto che vennisse discussa proprio oggi che a Dharamsala si e' aperto, alla presenza del Dalai Lama, il congresso che riunisce 500 rappresentanti degli esuli tibetani. Si tratta della piu' grande riunione della comunita' tibetana da 60 anni che raccoglie rappresentanti della politica e della societa' civile tibetane in esilio in tutto il mondo.
Inizio il mio intervento citando le parole di un monaco tibetano: il Dalai Lama.
Indipendentemente dal paese o dal continente da cui proveniamo, siamo tutti esseri umani, condividiamo gli stessi bisogni e interessi. Perseguiamo la felicità e cerchiamo di evitare le sofferenze indipendentemente dalla nostra razza, religione sesso o status politico.
Gli esseri umani, o meglio tutti gli esseri senzienti, hanno il diritto di perseguire la felicità e di vivere in pace e libertà.
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Gli sviluppi nel campo culturale, sociale ed economico di una società sono ostacolati dalla violazione dei diritti umani. Quindi la protezione di questi diritti e libertà sono di immensa importanza sia per gli individui che ne sono vittime sia per la società nel suo complesso.
Alcuni credono che causare sofferenza ad altri possa portare loro beneficio o che la loro felicità è di tale importanza che la sofferenza altrui perda di significato. Ma questo è chiaramente un modo di pensare miope. Nessuno trae veramente beneficio dal causare danno ad un altro e qualunque immediato vantaggio si possa ottenere a danno di un altro ha vita breve.
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Dobbiamo pensare in termini globali perché gli effetti delle azioni di una nazione sono sentiti molto al di là dei suoi confini. Il rispetto per i fondamentali diritti dell'uomo non deve restare un ideale da raggiungere ma un requisito fondamentale per ogni società umana.
Questa mia lunga citazione è parte del discorso pronunciato dal Dalai Lama alla conferenza mondiale sui diritti umani tenutasi a Vienna nel 1993. Ed infatti le parole pronunciate dal Dalai Lama si rifanno a dei concetti universalmente riconosciuti o che almeno dovrebbero essere tali anche perchè sanciti con la Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo votata dall'assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.
Egli proseguiva ponendosi questa domanda:
Quando chiediamo i diritti e le libertà che tanto amiamo, dobbiamo essere consapevoli delle nostre responsabilità, ma se accettiamo che gli altri hanno lo stesso diritto che abbiamo noi alla pace e alla felicità, non abbiamo forse la responsabilità di aiutare coloro che hanno bisogno?
Questo è il motivo per cui mi sono fatta promotrice di questa mozione, per dare voce a chi non ce l'ha e perché Il tibet di cui parliamo noi oggi in questa assise, non è solo un luogo fisico, un territorio o una nazione, ma è un simbolo di qualcosa di universale: dell'altro, del diverso, del discriminato. Simbolo degli oppressi nel mondo
Purtroppo sono ancora molti i luoghi in cui la violenza fisica o morale prevale sul rispetto dell'altro. Solo per citarne alcuni: la Birmania, il Darfur o il Congo. Così pure sono molte le minoranze non tutelate e a tal proposito voglio ricordare gli stessi cristiani presenti in Cina.
Stasera quindi parliamo di tibetani come simbolo per tutti gli oppressi.
Nel 1950 il tibet è stato invaso dalle truppe cinesi e il Dalai Lama, allora sedicenne fu costretto a firmare un accordo di pace che prevedeva il riconoscimento de jure della autonomia del Tibet che però de facto non è mai stata rispettata. Il Tibet è infatti da oltre 50 anni oggetto di una progressiva sinizzazione attuata con una occupazione da parte di militari e civili cinesi, (oggi in Tibet ci sono 6 milioni di Tibetani e 7 milioni e mezzo di cinesi) la distruzione dei simboli della cultura tibetana come i monasteri buddisti (oltre seimila monasteri sono stati distrutti) e una costante repressione della cultura e del popolo tibetani. I trasferimenti di popolazione hanno marginalizzato i tibetani negli ambiti sociale, politico ed economico. Serie violazioni dei diritti umani sono diffuse in tutto il Tibet e sono spesso il risultato di politiche di discriminazioni razziali e culturali. Basti pensare che solo possedere un'immagine del Dalai Lama oggi in Cina è illegale.
Non intendo dilungarmi ulteriormente sulla situazione tibetana di cui credo siate tutti bene a conoscenza.
Vorrei aggiungere due parole riguardo agli Uiguri ed ai Falun Gong, (che forse sono meno conosciuti).
La mozione invita ad esprimere solidarietà al popolo uiguro ed in particolare a Rebiya Kadeeer, leader nonviolenta di questo popolo, incarcerata dal governo cinese per sei anni a causa del suo attivismo per i diritti umani.
Gli uiguri sono un popolo turcomanno di religione islamica che abita nella regione dello xinjang e rappresentano un'altra minoranza oppressa della Cina.
Dalla fine degli anni '80 le politiche del governo cinese hanno contribuito a generare un crescente malcontento nella regione autonoma dello Xinjiang Uiguro. Negli ultimi anni, migliaia di persone sono state vittime di pesanti violazioni dei diritti umani, inclusi la detenzione arbitraria, processi sommari, torture, ed esecuzioni sommarie. (Amnesty intl.)
I falun gong non appartengono ad una minoranza etnica ma sono i seguaci di una disciplina spirituale dal nome falun dafa. Pratica fondata e diffusa nel 1992 da Li Hongzhi. Il falun dafa, meglio conosciuto come falun gong, si basa su un sistema avanzato di coltivazione e pratica del corpo e della mente. In pochi anni questa disciplina è diventata popolarissima e nel 1999,1’ex presidente cinese, Jiang Zemin, ha dichiarato il falun gong una minaccia alla stabilità sociale del paese e per questo ha ordinato persecuzioni brutali contro coloro che la praticano e la diffondono.
Voglio sottolineare un'ultima cosa : questa mozione è volta a sostenere chi conduce in modo nonviolento la propria battaglia per le libertà e i diritti. Così ha fatto il Dalai Lama presentando la sua proposta di pace per la soluzione del problema tibetano
Il 21 settembre 1987, davanti alla Commissione per i Diritti Umani del Congresso degli Stati Uniti d’America, il Dalai Lama presentò un Piano di Pace in Cinque Punti, la cosiddetta “Via di Mezzo”, quale realistica proposta sulla cui base intavolare delle trattative con il Governo della Repubblica Popolare Cinese. Il Piano prevedeva:
1. la trasformazione dell’intero Tibet in un territorio demilitarizzato di pace e non-violenza;
2. l’abbandono della politica di trasferimento della popolazione da parte della Repubblica Popolare Cinese;
3. il rispetto dei diritti umani fondamentali e delle libertà democratiche;
4. il ripristino e la protezione dell’ambiente naturale;
5. l’avvio di serie trattative sul futuro status del Tibet e su rapporti tra il popolo cinese e quello tibetano.
Il 15 giugno 1988, in un’aula del Parlamento Europeo, a Strasburgo, il Dalai Lama, fece una dichiarazione con cui sancì la fine della richiesta dell’indipendenza in cambio del riconoscimento di un’autentica autonomia sociale, politica, religiosa e culturale.
Desidero sottolineare che il Dalai Lama non chiede l'indipendenza ma una reale autonomia del Tibet.
Votando questa mozione possiamo dare un piccolo aiuto alla causa dei diritti umani in Cina sostenendo un metodo di lotta nonviolento e la tutela delle minoranze che è alla base della democrazia e della libertà ovunque nel mondo.