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Tra modernita' e post-modernita': il dilemma del decisore pubblico.

Quella che mi accingo ad affrontare e' una riflessione tipica della sociologia politica contemporanea, largamente impegnata ad analizzare le dinamiche intercorrenti tra modernita' e post-modernita'nella sfera pubblica e privata.

 

Essa parte dalla constatazione che il mondo attuale e':

1)complesso e altamente individualizzato.

2)alta differenziazione funzionale degli attori in gioco (ognuno ha una sua specialita' e sa poco del resto)

3)Elevata tecnicizzazione delle problematiche e quindi della politica (intesa come regolazione della realta').

4)Elevata individualizzazione della sfera pubblica

5)Spoliticizzazione delle problematiche: difficolta' nell'individuazione del bene comune.

Un mondo che presenta le predette caratteristiche sottende una verita' piuttosto scomoda che puo' condurre, a lungo andare, ad esiti indesiderati. Il cittadino comune si trova molte volte nella condizione in cui:

1) pur individuando il suo bene non possiede gli strumenti analitici idonei a valutare quali sono i mezzi per raggiungerlo.

2) L'alta individualizzazione della societa' fa si che il cittadino, molto spesso, non sia in grado di valutare il bene comune, ne' tantomeno contemperare il suo bene a quello degli altri.

Il decisore si ritrova quindi alle prese con il c.d. dilemma del bene pubblico: ricercare l'esito il piu' compatibile possibile alle esigenze di una popolazione con alto differenziale di opzioni di vita e beni individuali. Il decisore si trova quindi gravato dell'arduo compito di ricercare un esito possibile che accomodi gli infiniti percorsi di vita che ogni cittadino e' libero di perseguire.

Quando Daniele Zoldan in un commento, in riferimento all'analisi delle statistiche sul numero di immigrati nello spilimberghese, mi afferma: "Fare correlazioni storiche in un momento delicato come quello attuale mi sembra cosa oltremodo inutile, fatti chiede la gente, e fatti bisogna dargli altrimenti prevedo guai...."  credo colga un problema di fondo di estrema importanza; esso rimanda al sistema informativo/marketing e di come essi possano generare i bisogni e problemi delle persone, ricreando rappresentazioni della realt' alle volte del tutto fittizie.

La mia risposta e' che il decisore deve fare tutto il possibile per comprendere un fenomeno nel modo piu' disincantato e scientifico, ricercandone le cause al fine di porre in essere, ove possibile, le soluzioni migliori. Ascoltare e fare quello che la gente vuole non significa fare politica responsabile, significa semplicemente cavalcare il consenso. Quello che la gente vuole:

1)non e' detto sia la soluzione migliore ai suoi problemi (occorre valutarlo, perche' le persone, in ultima istanza, vogliono la risoluzione)

2)inoltre, sarebbe auspicabile capire se:

a) il bisogno espresso dalla gente e' reale ed effettivo

b) o indotto dalle campagne di marketing che corroborano rappresentazioni della realta' fallaci.

L'unica soluzione per chiarire i punti 1 e 2 e' studiare il problema con tutti gli strumenti a disposizione (analisi storiche comprese). Perche' il rischio e' altrimenti rappresentato da soluzioni che, se da una parte raccolgono il massimo consenso, non hanno come esito quello sperato dalla stessa popolazione.

Il ruolo dell'informazione che la politica fa di se' diventa un nodo di dibattito ineludibile. Troppe volte si assiste a politiche di slogan che mirano esclusivamente al cuore delle persone, ma non le informano su quali sono i veri problemi e mezzi per risolverli. Bilanciare la semplicita' del discorso politico (che deve risultare comprensibile al piu' vasto pubblico possibile) e la serieta' pratica del messaggio, diventa allora il problema maggiore: informare nel modo piu' semplice possibile al fine di instillare cognizione di causa alla maggioranza della popolazione non e' un problema da poco.
Altro elemento e' la partecipazione politica. Il sistema fin'ora descritto suggerisce come esito finale l'esclusione dalla sfera pubblica di tutti i soggetti non idonei a comprendere e produrre decisioni buone per il bene pubblico. A tal proposito si parla di' delegittimazione (a parlare) di tutti i discorsi (le ragioni) che non provengono dai soggetti competenti: cio' conduce ad una evidente limitazione delle opzioni discusse in ambito decisionale (i decisori si trovano a ragionare solamente sulla base delle loro opzioni, senza ascoltare la popolazione perche' considerata incapace) e ad un conseguente impoverimento delle decisioni finali (poiche' non terrebbero conto del maggior numero di istanze possibili). Questa risultante, oltre ad essere di estrema pericolosita', sta prendendo silenziosamente piede. La popolazione non partecipa piu': di fatto ritiene di essere informata, ma non lo e'. Il sistema informativo produce tanta opinione e poca informazione, la politica si tuffa negli slogan che tutto fanno tranne che permettere alle persone di ragionare.

I principi della democrazia deliberativa e della democrazia ecologica corrono in aiuto a questa possibile deriva che, a ben guardare, non e' poi cosi' lontata dall'attuale stato delle cose. Riservo la trattazione di questi due concetti ad un ulteriore post e nel frattempo invito tutti coloro interessati a  dare un'occhiata su it.wikipedia.org e sul web alle definizioni in questione.