Il Pd è un partito in crisi perché al suo interno c’è un gran casino, o al suo interno c’è un gran casino perché è un partito in crisi? A Firenze, aiutato dagli eccessi polemici di Parisi, Walter Veltroni si è buttato sulla prima risposta. Basterebbe che i suoi dirigenti stessero zitti e in fila per tre e, come d’incanto, il Pd non sarebbe più in crisi. A qualcuno è sembrata una risposta tosta, battagliera. Ma in realtà è l’ultima spiaggia per un segretario. E’ la precostituzione di un alibi, un’uscita di sicurezza, nel caso sempre più probabile che la casa vada a fuoco. Io resto convinto, invece, che nel Pd c’è un gran casino perché è un partito in crisi di idee e di leadership. La controprova è che anche nel Pdl c’è un gran casino - dal federalismo al partito unico - ma nessuno ci fa caso perché tutti sanno che alla fine decide Berlusconi. Per questo i giornali fanno la laparotomia al Pd, mentre sorvolano sui problemi del centrodestra Parisi ci mette dell’astio: ma è difficile dargli torto quando dice che i trecento giorni di Veltroni portano il segno meno. Faccio una domanda: ricordate una sola battaglia di questi trecento giorni? Sapreste dire, così, senza pensarci su, che cosa vuole l’opposizione per l’Italia? E il sospetto che si sta insinuando in me è che questa debolezza non sia il frutto di quell’assenza di idee che Biagio De Giovanni ha denunciato sul nostro giornale; ma, peggio, di una sostanziale complicità con le idee del governo Berlusconi. Il quale, dismesso lo spirito del ‘94, sembra ormai aver rinunciato al proposito di riformare l’Italia, usando piuttosto la leva pubblica e il denaro pubblico per regnare su un paese rimpicciolito, impaurito e autarchico. Faccio tre esempi di questa complicità.
Il primo è il federalismo fiscale. L’unico dibattito serio, quello che si chiede se la caldarolata costerà agli italiani più tasse, più complicate, nelle mani di più centri di spesa sempre più irresponsabili, si svolge all’interno del centrodestra. Il Pd sembra sostanzialmente d’accordo col ministro leghista. Se si parla di Iei, i suoi esponenti intervengono solo per dire che era giusta e andrebbe ripristinata. Tra la Lega e il Pd sembra essere nata una convergenza profonda di interessi. Il partito di Bossi si è trasformato negli anni in un partito di amministratori locali, cioè di gente che spende denaro pubblico. La sua carica antifiscale ne è uscita fortemente affievolita. L’unico suo intento è quello di diventare il primo partito del Nord. Anche il Pd, oggi come oggi, non è altro che un partito di amministratori (del Centro). E’ normale che a loro faccia piacere il ritorno dell’Ici o l’introduzione di una nuova tassa di scopo per «eventi turistici». Non a caso il Pd e la Lega sono i maggiori difensori delle Province. Secondo esempio: l’Alitalia. Qui parla ogni tanto Bersani, e bene, ma più per dovere d’ufficio, per difendere la soluzione Airfrance cui resta legato come ex ministro. Per il resto, un assordante silenzio. Non dico Matteo Colaninno, che da ministro ombra dovrebbe tuonare contro gli interessi del padre e naturalmente non lo fa, e dunque non fa nemmeno il ministro ombra. Ma nell’intero Pd si sente come un sospiro di sollievo. Se Berlusconi risolve la grana, anche a costo di un miliardo di euro pagato dai contribuenti, anche a costo di tariffe più alte e della svendita di un patrimonio pubblico a un gruppo di imprenditori arditi, non è meglio? Soprattutto se quegli imprenditori sono gli amici di sempre, da Colaninno a Passera?
Terzo esempio: la politica estera. E’ sorprendente che il Pd abbia dato luce verde a un governo che carezza l’orso russo, accettando che nel cuore dell’Europa i carri armati tornino a varcare le frontiere di uno stato sovrano, tra l’altro smentendo la sincerità del suo pacifismo. Se Filippo Andreatta, figlio della migliore tradizione atlantista dell’Ulivo, firma un articolo sul Corriere con Pierferdinando Casini per rimproverare questa complicità al Pd, vuol dire che le cose sono messe davvero male.
Il Pd che doveva nascere al Lingotto di Torino era un’altra cosa: faceva suo il valore della libertà dell’individuo, aborriva lo sperpero del denaro pubblico in nome del cittadino-consumatore annunciava il taglio delle tasse sui salari, sfidava la destra a una vera riforma della giustizia. Quello spirito blairiano non ha retto. La linea Morando-Rossi-Boeri, tanto per semplificare, è stata archiviata. Per l’autodifesa del gruppo dirigente sconfitto, ci si è ritirati nel tran tran delle corporazioni, nel rispetto degli interessi costituiti e dell’establishment solo per scoprire che il nuovo Berlusconi ha imparato a farlo molto meglio lui. Si capisce che Franceschini e Fioroni si sentano così soddisfatti, per loro possedere un partito del 30% è già una manna dal cielo: rinvierebbero sine die le elezioni europee pur di tenersi quello che gli è stato dato. Ma si capisce pure perché tutti gli altri fanno un gran casino.
Commenti
Intervento di Polito
Ecco le cose su cui Veltroni, e l'intero Pd, dovrebbero confrontarsi, invece di limitarsi ad accusare Parisi di essere contro "il popolo del Pd".
Risposte Veltroni
E sapete chi è che ha scritto l'intervento di Veltroni in quel di Firenze? Tal Goffredo Bettini personaggio, giustamente, criticato per la sua arroganza, e non solo quella, di cui Veltroni sembra proprio non possa fare a meno mentre almeno D'Alema e Parisi usano farina del loro sacco mentre l'Obama de noantri, beh lasciamo perdere altrimenti divento troppo pesante.
Dopo, riguardo l'intervento di Polito, devo ammettere che per larghi tratti potrebbe anche essere accettato come valido metro di confronto interno al partito, ma fintanto dentro esso ci saranno personaggi come Bettini, Franceschini, Fioroni, Carra, e in Friuli c'è Moretton, prevedo per questo partito anni, anzi decenni, di tranquilla e serena opposizione lasciando il testimone di quella dura e pura al solo Di Pietro, auguri...
Daniele