L'Italia si prepara con realismo e determinazione alla battaglia in sede Onu, a settembre, per la moratoria sulla pena di morte. Le esecuzioni a catena in Iran (ieri l'ultima a Gondab-e Kavous) non fanno che aumentare la convinzione del nostro Paese in quella che viene considerata da tutti una battaglia di civiltà. Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, sa di poter contare (a differenza del '94 quando Berlusconi perse per quattro voti) sul sostegno degli altri Paesi europei e della presidenza portoghese. Ma sbaglia chi, ad esempio nell'opposizione, immagina di usare il commercio come arma di pressione contro l'Iran e gli altri Paesi che applicano la pena di morte. Ne è convinta Emma Bonino, "portabandiera" da sempre della moratoria e oggi ministro del Commercio internazionale e delle Politiche comunitarie.
Onorevole Bonino, non c'è contraddizione tra la lotta per i diritti umani e la promozione del commercio in quei Paesi che li violano?
Direi proprio di no. In un mondo globalizzato la promozione di società aperte e democratiche è complessa e non ci sono soluzioni miracolistiche. Il commercio non è il problema. Anzi può essere parte della soluzione, può aiutare a tenere aperto uno spiraglio perché quando si commercia circolano beni ma anche idee e persone. E noi combattiamo per i diritti delle persone non contro questo o quello Stato.
Quindi non hanno più senso le sanzioni commerciali?
Le sanzioni della comunità internazionale sono cosa ben diversa dalle sanzioni bilaterali. Noi, ad esempio, siamo tra i più rigorosi nell'applicare le sanzioni internazionali contro l'Iran. Ma se è vero che in alcuni casi le sanzioni hanno funzionato come per l'apartheid in Sudafrica non si può certo dire che abbiano sortito qualche effetto contro il regime di Mugabe in Zimbabwe o contro la giunta militare della Birmania. La verità è che la strada per l'affermazione dei diritti umani è spesso contraddittoria e ha bisogno di tante misure connesse tra di loro.
Oltre all'arma del commercio quali strumenti occorre utilizzare contro quei Paesi?
Il commercio, da solo, non basta. Non si può pensare di chiudere i rubinetti oltre che con l'Iran, con Cina, Arabia Saudita e forse anche la Russia e limitarci a fare promozione del made in Italy con Svizzera e Svezia. Servono azioni politiche come quelle che stiamo facendo ma anche partiti e società civile devono far sentire la loro voce. Solo questo mix di pressioni può prefigurare un percorso per società aperte e democratiche.
La battaglia sulla moratoria è stata "adottata" dai Governi italiani di centro-destra e di centro-sinistra. Nel '94 non se ne fece nulla. Ora cosa è cambiato?
Nel '94, per quattro voti che qualcuno imputa a una defezione europea, la proposta di moratoria come primo passo verso l'abolizione della pena di morte non fu approvata all'Onu. Oggi, a differenza dì allora, c'è un testo consolidato approvato dai 27 Paesi dell'Unione europea e aperto ai cosiddetti "cosponsors", ossia Paesi che hanno abolito la pena di morte come Sudafrica, Brasile e Filippine. Questo per evitare che la battaglia si caratterizzi come iniziativa dell'Europa contro gli altri. A settembre il testo andrà al comitato diritti umani dell'Onu per essere poi messo ai voti in assemblea.
E gli Stati Uniti? Hanno in mente qualche iniziativa diplomatica per frenare la proposta?
Non mi risulta. E non c'è neppure traccia di azioni degli altri Paesi che applicano la pena di morte. Ma la contraddizione americana è molto forte perché, ad esempio, se è vero che alcuni Stati danno corso alle esecuzioni, Washington, quando ha approvato il Tribunale speciale per l'ex Jugoslavia, ha accettato anche la parte che esclude la pena di morte.