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Rischi e opportunità del centrodestra. BERLUSCONI E LE RIFORME

Testo: 

Con le decisioni del Consiglio dei ministri di giovedì, il governo ha fatto un altro passo significativo verso una politica economica orientata ai consumatori, un indirizzo nuovo per la sinistra italiana. I singoli provvedimenti di liberalizzazione sono già stati ampiamente commentati. Si può obiettare che alcune misure d'imperio (come quella sulle ricariche dei telefoni cellulari) otterranno sì il plauso immediato dei consumatori ma, poiché non mirano ad accrescere la concorrenza nel mercato, non agiscono nel loro interesse di più lungo periodo. Si può criticare il fatto che anche questa volta, come in luglio, la «lenzuolata» di liberalizzazioni lascia finora dormire sonni abbastanza tranquilli, se non proprio «tra due guanciali», a categorie che tradizionalmente fanno parte della base sociale ed elettorale del centrosinistra. Si può ritenere non corretto - e non coerente con la nuova visione centrata sui consumatori - che altre misure cruciali per la competitività e la crescita, come le riforme delle pensioni o del pubblico impiego o degli ammortizzatori sociali, siano tuttora sottoposte a pesanti concertazioni, nelle quali le organizzazioni di certi produttori (imprenditori e lavoratori dipendenti) hanno quasi un potere di veto, mentre nei confronti di altri produttori (lavoratori autonomi) si procede con decreti-legge e senza neppure consultazioni preventive.
Rimane il fatto che alcune delle misure annunciate giovedì sono importanti, vengono incontro alle attese dei cittadini e incoraggiano a pensare che si proseguirà in questo nuovo orientamento, estendendolo a campi più rilevanti e politicamente difficili.
Si pongono ora due interrogativi. Ciò che è stato annunciato giovedì avrà piena attuazione o vi saranno, come in luglio, arretramenti di fronte alle proteste delle categorie? E si procederà poi alle riforme strutturali più impegnative, in quali tempi, con quali forze?
Le risposte dipenderanno molto, è ovvio, dall'atteggiamento delle diverse forze politiche. Vorrei fare qualche considerazione al riguardo, non nella prospettiva di questa o quella parte politica, ma guardando soltanto all'obiettivo concreto - condiviso, credo, da molti - che le riforme necessarie per far crescere di più l'Italia si facciano davvero.
Si nota anzitutto, nel periodo più recente, una maggiore condivisione dell'idea che per introdurre specifiche riforme politicamente costose possa essere utile, e non improprio, avvalersi del consenso di quanti sono disposti a darlo, condividendo i costi a breve (ma anche i meriti che più avanti diverrebbero visibili). Pur diverse tra loro, sono manifestazioni di questo atteggiamento l'iniziativa dei «Volenterosi» - promossa da parlamentari di diversi partiti tra i quali Bruno Tabacci, Daniele Capezzone, Franco Debenedetti e Antonio Polito - che terrà una riunione pubblica domani a Milano; la disponibilità di Pier Ferdinando Casini, ben accolta in particolare da Linda Lanzillotta, a dare il suo apporto sulle liberalizzazioni; l'annuncio di Pier Luigi Bersani sulla creazione di una Commissione bicamerale per la concorrenza; la dichiarazione di Vannino Chiti a favore di una «sessione sulle liberalizzazioni» alla Camera e al Senato, sede in cui l'opposizione potrà «far vedere se vuole confrontarsi in modo costruttivo».
Questa evoluzione è probabilmente dovuta al fatto che molti, pur sostenitori convinti del bipolarismo, non ritengono un valore in sé lo scontro frontale tra i due schieramenti contrapposti; ma soprattutto, credo, al fatto che si sta gradualmente diffondendo un convincimento esposto da tempo su queste colonne. Cioè che, specialmente in un Paese senza una radicata cultura della concorrenza, è ben difficile che si possano aprire i mercati e combattere le rendite se l'uno o l'altro dei due blocchi politici appoggia le resistenze delle corporazioni contro le misure per ridurne i privilegi.
Che forze politiche appartenenti a schieramenti diversi siano disposte a unire la loro determinazione in favore delle riforme e della concorrenza, non implica affatto un tradimento del bipolarismo, come mostrano gli esempi americano e britannico. Una «cooperazione limitata», su materie ben circoscritte, contro le forze che frenano lo sviluppo del Paese, non comporta affatto neocentrismi o grandi coalizioni.
Le posizioni espresse da Silvio Berlusconi non inducono a prevedere che la parte molto vasta del centrodestra che a lui si riferisce sia incline a dare un appoggio, pur dopo esame approfondito e critico, alle liberalizzazioni che sono state o saranno introdotte dal governo. Ma forse il centrodestra potrebbe anche accorgersi di un rischio e di un'opportunità.
Il rischio è che le liberalizzazioni in corso, pur lacunose e alquanto squilibrate, si stanno dimostrando popolari, più di quanto molti prevedessero. Se il centrodestra deciderà di cavalcare le proteste delle categorie, come ha fatto in luglio, e darà l'impressione di essere ostile alle liberalizzazioni, dopo cinque anni al governo in cui non ha fatto di queste il suo cavallo di battaglia, molti elettori la prossima volta potrebbero pensare: «E' strano, ma in Italia le liberalizzazioni, per un'economia più dinamica e una società più aperta, non le fa la parte politica che ha nella sua stessa denominazione "le libertà", ma se mai quelli che essa chiama "i comunisti"».
L'opportunità sta nel fatto che se il centrodestra desse il suo apporto, critico e condizionato, potrebbe dire alla maggioranza: «Noi appoggiamo questo e quest'altro, con qualche modifica. Siamo disposti a non cavalcare le proteste. Ma solo se voi vi impegnate, entro tempi definiti, a introdurre queste altre riforme (ad esempio nei servizi pubblici locali, nel mercato del lavoro, nelle modalità per decidere le grandi infrastrutture), sulla base di questi criteri».
E la sinistra radicale? Certo, potrebbe opporsi all'appoggio proveniente da parti del centrodestra. Ma forse anche a sinistra si sta cogliendo sempre meglio che la concorrenza aiuta l'equità e la lotta alla rendita, non le ostacola.
Del resto, il concetto di «riforme strutturali», o «riforme di struttura», come egli diceva, è stato introdotto nella politica italiana da Riccardo Lombardi nel 1949. Egli si batteva contro le rendite. Forse anche Lombardi, nel contesto attuale, sosterrebbe non tanto la nazionalizzazione dell'energia elettrica, ma le «riforme di struttura» che combattono i privilegi delle corporazioni e frenano lo sviluppo del Paese.

Data: 
Domenica, 28 January, 2007
Autore: 
di MARIO MONTI
Fonte: 
CORRIERE DELLA SERA
Stampa e regime: 
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