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A Radio Pannella prove di regime

Testo: 

Primo commento: «Una caduta dì stile». Poi: «Una manifestazione di regime di un tipo particolare». E infi­ne: «Non sono di quelli che quando ve­dono Pannella vanno in fibrillazione». Parla così Massimo Bordin, direttore di Radio radicale, protagonista in diretta il 14 gennaio di un pesante scontro con Marco Pannella. Come in un reality show radiofonico, durante la sua tradi­zionale intervista domenicale, il leader radicale ha chiesto la testa del suo ex delfino Daniele Capezzone, accusan­dolo di condurre la rassegna stampa in modo troppo autopromozionale. Bor­din gli ha risposto per le rime, difendendo la sua autonomia di direttore, denudando il re e i suoi diktat.

L'ennesimo atto di una guerri­glia pannelliana, il seguito del congresso di Padova in cui Capezzone ha dovuto lasciare la poltrona di segretario. Ma, so­prattutto, una domenica molto particolare. In cui è caduto un al­tro velo sul difficile rapporto tra informazione, stampa di partito e politica. Nel suo ufficio a Ra­dio radicale, frase sul display rosa shocking del computer «Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare», Massimo Bordin racconta a Panorama la resistenza che non si sa­rebbe mai aspettato di dover fare.

«Stampa e regime» è il nome della storica rassegna dì Radio radicale. Ma a questo punto il regime, tanto denun­ciato nelle battaglie del partito, è quello pannelliano?
Devo confessare che non so dare un nome a quello che è accaduto. Non era mai successo prima. Certamente è stata una caduta di stile che non mi aspettavo. Se voglia­mo parlare di una manifesta­zione di regime, è di un tipo particolare: da un lato libertario, dal­l'altro fortemente liberista.

Vi siete riparlati, avete chiarito?
Ho sentito Pannella per telefono. Prima abbiamo fatto finta di niente, abbiamo parlato d'altro. Poi lui ha ri­badito la totale fiducia in me. Era mol­to seccato, invece, con quelli che leg­gono nella questione Capezzone l'invidia di un grande vecchio: «Come possono pensarlo?». Per ora la faccen­da è chiusa. Almeno il primo round. Ma conosco bene Marco. So che lui non molla. Si è messo in mente di di­mostrare a tutti i costi gli sbagli di Capezzone, i suoi limiti: l'impegno massimo nel promuovere se stesso, mini­mo nei confronti del partito. Ma più Daniele persegue la tecnica di porge­re l'altra guancia e non reagire, più Marco si incazza.

La previsione, dunque, è che l'epu­razione radiofonica è solo sospesa.
Se questo succedesse sarebbe molto antipatico per me, visto che non ho in­tenzione di cambiare la rassegna del­la domenica. Rimettere in discussione tutto sarebbe una novità nel rapporto tra direttore e partito. Un modo perico­loso di interpretare il legame tra infor­mazione, politica ed editori. Il proble­ma è che Pannella nega perfino di es­sere l'editore. È un dramma per me, devo pur avere un interlocutore. Quan­do c'è da affrontare una qualunque spesa, io e l'amministratore andiamo da lui. E Marco: «Che volete da me? Non sono mica l'editore». Esausti, ab­biamo trovato un compromesso. Noi gli rispondiamo: «Va bene, non lo sei. Pe­rò pro tempore...».

E la prima volta che va in onda in diretta il tentativo di un licenziamen­to. Un'ulteriore evoluzione del Gran­de fratello mediatico?
È la prima volta. Anche se Marco è sempre intervenuto in diretta e all'im­provviso. A volte facendo a pezzi il meschino di turno. Capitò ad Angelo Pezzana. La sua rubrica stava diventando ripetitiva quando, un bel gior­no, la voce di Pannella si materializzò nell'etere, tuonando: «Mi stupisco che una cosa del genere vada ancora in onda». Pezzana, che era un tipo spiri­toso, salutò gli ascoltatori in modo mi­tico: «Appuntamento alla prossima settimana. Forse».

Se fosse successa una cosa del ge­nere in un'altra emittente, Pannella come minimo, si sarebbe incatenato.
È vero. Sul noto «editto bulgaro» fe­ce una questione di forma, e aveva ra­gione da vendere. Sulla sostanza era addirittura più estremista di Silvio Berlusconi. Poi ricordo che quando Gianfranco Funari fu cacciato venne difeso con grande forza.

La questione è solo politica o c'è del perso­nale? Queste non sem­brano le scene di un film d'amore.
Non credo. È una chia­ve di lettura che potrebbe portare fuo­ri strada. Lui personalizza sempre gli scontri politici. Lo sa come si sono co­nosciuti lui e Daniele? Era una delle tipiche manifestazioni radicali: 1° gennaio, ore 9, davanti a Montecito­rio a Roma, ha presente? Da dietro l'edicola sbuca questo ragazzo. Tutto perfettino, incravattato, pettinato, si avvicina. «Onorevole Pannella vole­vo salutarla». E lui: «Grazie, grazie ra­gazzi. Siete stati molti gentili a con­trollare l'ordine pubblico, bravi». L'aveva preso per un poliziotto. Inve­ce voleva cominciare a fare politica con i radicali.

Capezzone è un grande press agent di se stesso, un egregio strumentalizzatore di media. Ma è una creatura di Pannella, il suo specchio. Forse que­sto è il problema.
No. Capezzone è una cosa più com­plessa. Se lo ascolti con attenzione, ti rendi conto che è un fenomeno capa­ce di inglobare stili, addirittura caden­ze. A momenti ti sembra di sentire la voce di Nanni Moretti. In altri hai un sobbalzo: parla Massimo D'Alema? È Zelig. E infatti la sua rassegna stam­pa è un evento radiofonico. Ha una cerchia di ascoltatori, non sempre en­tusiasti, certo. Ma perché cambiarlo?

Come finirà la querelle: lo sostitui­rà con Marco Cappato, come vuole Pannella?
Confesso: non sono come l'attuale segretario del Partito radicale che di­chiara come alla vista di Pannella senta il suo cuore fermarsi. E non mi piac­ciono gli ultimatum, soprattutto a mi­crofono aperto. Cappato è un falso problema. Può intervenire in radio quando vuole. Detto questo, con mol­ta sincerità, se dovessi affidare la ras­segna stampa a qualcuno, non pense­rei mai a lui.

Data: 
Venerdì, 19 January, 2007
Autore: 
Denise Pardo
Fonte: 
PANORAMA
Stampa e regime: 
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