Teheran. Le nuove regole contro la «corruzione sociale»: le donne devono indossare abiti larghi e non si possono portare i cani a passeggio.
di Farian Sabahi
Da domani duecento poliziotti pattuglieranno i quartieri alti di Teheran, abitati dalla borghesia, multando coloro che portano a passeggio i cani, considerati impuri nell’Islam ma animali di compagnia per molte famiglie accusate «di scimmiottare l’Occidente». Ma il provvedimento più temuto riguarda le donne: rischiano l’arresto se indossano «gli spolverini stretti che mettono in risalto le curve, i pantaloni che lasciano scoperte le caviglie», un abbigliamento che contraddistingue le ragazze borghesi e non certo le donne delle aree popolari. Inoltre, «i foulard dovranno essere ampi e non lasciare intravedere neanche un ciuffo di capelli». Per essere sicuro che le nuove regole destinate a combattere la «corruzione sociale» saranno applicate, il capo della polizia Morteza Talaii ha annunciato che riunirà i proprietari dei negozi di abbigliamento per concordare le tipologie di vestiti da produrre e mettere in commercio. «A chi non si adeguerà sarà revocata la licenza».
I provvedimenti imposti ieri dagli uomini del presidente Ahmadinejad ricordano quelli intrapresi, in direzione opposta, da Reza Shah (1925-41). Il fondatore della dinastia Pahlavi volle modernizzare l’Iran a tutti i costi e, oltre a investire nell’istruzione e nella costruzione di strade e ferrovie, considerò il ciador e i costumi tradizionali dei nomadi come un simbolo di arretratezza. Nel 1928 ordinò ai militari di recarsi negli accampamenti, di spogliare i nomadi e di bruciarne gli abiti. Per essere sicuro che tutti i maschi adulti indossassero indumenti di stile occidentale, impose ai mercanti di non vendere più i costumi tradizionali. Reza Shah prese di mira anche le donne. Come stava facendo Ataturk nella vicina Turchia, e dopo aver visto il re afghano in pubblico con la moglie e la figlia a capo scoperto, nel 1936 Reza Shah vietò alle iraniane di indossare il velo e incaricò la polizia di strappare il ciador a chi non obbediva.
Erano altri tempi. Oggi non è detto che Ahmadinejad riesca a imporre le nuove regole. Nei mesi scorsi uno dei primi provvedimenti del ministro alla cultura Saffar Harandi, editorialista del quotidiano «Kayhan» portavoce dell’ala più dura del fondamentalismo, è stata una circolare in cui vietava alle giornaliste di lavorare in redazione dopo le 6 di sera: «per rafforzare la famiglia le donne devono stare a casa e preparare la cena per il marito e i figli, altrimenti l’unione familiare rischia di incrinarsi». In Iran le donne contano però molto più di quanto si possa pensare e la circolare è stata contestata, disapplicata e infine ritirata.
Non sarà certo il nuovo codice di abbigliamento a rinchiudere in casa le iraniane, nemmeno il carismatico ayatollah Khomeini c’era riuscito: all’indomani della rivoluzione impose il velo nei luoghi pubblici, le donne si adeguarono e oggi, proprio grazie al foulard, sono attive nel mondo politico, nell’economia e nelle università (63% delle matricole). E pure tra le fila della polizia che da domani pattuglierà i quartieri ricchi di Teheran.