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«Non siamo criminali, la scienza deve correre»

Testo: 

di FEDERICO UNGARO

ROMA - «I limiti alla ricerca scientifica possono essere un ostacolo al progresso. Dobbiamo renderci conto che gli scienziati non sono criminali: se una via di ricerca può portare a curare malattie importanti, come quella di Luca Coscioni, non capisco perché la si debba impedire».
A parlare è Stefano Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova.
E’ giusto porre limiti etici alla ricerca e, in particolare, a quella sugli embrioni umani?
«Parto da lontano: un Boeing 737 non è altro che un grande aereo passeggeri, eppure nelle mani di pazzi o criminali può diventare un’arma terribile, come si è visto nella tragedia dell’11 settembre. Cosa dovremmo fare adesso? Impedirne la costruzione?»
Ma gli embrioni umani sono un’altra cosa…
«Certo, e la mia analogia può sembrare molto forzata. Ma non credo nemmeno che gli scienziati siano terroristi. Lei pensa veramente che ci siano biologi o genetisti che vogliano creare il clone di un dittatore sanguinario o esseri umani da usare come pezzi di ricambio per altri esseri umani? Io no. Anzi, non credo assolutamente a chi dipinge gli scienziati come esseri privi di valori etici e disposti a compiere nefandezze incredibili».
Però è di pochi mesi fa il caso di uno scienziato coreano accusato di frode scientifica proprio sulla clonazione di embrioni umani…
«Anche noi abbiamo le nostre pecore nere. E le smascheriamo, come dimostra questo caso. In fin dei conti, non dobbiamo dimenticare che la ricerca scientifica si fa per passione, non per volontà di arricchirsi. E se in tutto il mondo si fa ricerca sulle cellule staminali embrionali c’è un motivo: si pensa che possa essere un modo per salvare vite umane. Avere oggi in Italia un atteggiamento di chiusura, mi sembra non vincente da un punto di vista scientifico».
L’obiezione più frequente è che usare le staminali embrionali significa salvare vite umane distruggendone altre, gli embrioni appunto…
«Questa è una concezione influenzata da una particolare visione religiosa della realtà, che rispetto ma non considero scientifica. Forse, in Italia, sul tema della ricerca nelle scienze della vita, c’è un atteggiamento un po’ troppo religioso e un po’ poco scientifico. Soprattutto rispetto ad altri Paesi, dove si fa ricerca senza che si scatenino grandi conflitti. E penso non solo a Paesi lontani da noi sia geograficamente che culturalmente, come la Corea o il Giappone, ma anche a Stati molto più vicini, come la Gran Bretagna».

Data: 
Martedì, 21 February, 2006
Autore: 
Fonte: 
Il Messaggero
Stampa e regime: 
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