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"Lettere al Corriere"

Testo: 

In una sua risposta, qualche tempo fa, lei ha ricordato i padri del pensiero liberalsocialista, ma ne ha dimenticato uno. Ha ignorato Ernesto Rossi, l’unico che sia riuscito a lottare per i principi liberali e socialisti e ad applicarli come manager pubblico, economista, giornalista.
Per conoscere il suo pensiero è sufficiente rileggere «Critica del capitalismo» e «Abolire la miseria». Ma, come diceva Salvemini, Rossi rientrava (e rientra)nella «minoranza dei pazzi malinconici».
Andrea Sillioni
Bolsena (Vt)

Risponde Sergio Romano

Caro Sillioni,
più che «pazzo malinconico» Ernesto Rossi fu eccentrico, imprevedibile, impaziente, inquieto, allergico a qualsiasi disciplina politica e sempre pronto a contraddire il suo interlocutore anche quando professava convinzioni che lui stesso, fino a qualche tempo prima, aveva condiviso. Fu certamente, in alcuni passaggi della sua esistenza, «liberalsocialista». In un bel profilo biografico pubblicato dall’editore Einaudi nel 1997, Giuseppe Fiori riprodusse una lettera che Rossi scrisse a Gaetano Salvemini il 24 marzo del 1944. Gli parlò della evoluzione del suo pensiero durante gli anni del carcere (era stato condannato a vent’anni per cospirazione antifascista nel 1931) e gli disse che la lettura di un grande economista inglese (Philip Henry Wicksteed) lo aveva «portato ad avere meno fiducia nel libero gioco delle forze economiche sul mercato di concorrenza, a riconoscere la convenienza di maggiori interventi statali per raggiungere obiettivi di giustizia sociale e a considerare inadeguato il metodo democratico durante i periodi di crisi rivoluzionarie. In poche parole, pur conservando le mie opinioni liberali, sono diventato molto più socialista e anche molto più giacobino».

Ma le sue «evoluzioni» furono numerose. Nel 1914, dopo lo scoppio della Grande guerra, era ardentemente neutralista. Nel 1916 decise di partire volontario, giustificò la sua scelta dichiarando che occorreva impedire la militarizzazione dell’Europa sotto il dominio della Germania e si definì da allora, ironicamente, un «non interventista intervenuto». Era studente di medicina, ma fu affascinato dalla lettura di Vilfredo Pareto e passò agli studi di filosofia. Dopo la guerra condivise il programma dei nazionalisti sulla Dalmazia e si proclamò entusiasta per la spedizione di D’Annunzio a Fiume. Ma conobbe Gaetano Salvemini, contrario all’annessione, e modificò il suo atteggiamento. Scrisse per il Popolo d’Italia (il quotidiano fondato da Mussolini) fino all’autunno del 1922, ma interruppe la collaborazione dopo la marcia su Roma. Fu uno dei maggiori europeisti italiani e firmò con Altiero Spinelli il Manifesto di Ventotene, ma ebbe con lui rapporti tempestosi. Fu probabilmente presente a uno dei primi convegni clandestini del partito d’Azione (il 5 e il 6 settembre 1943, a Firenze), ma disse più tardi di avere riportato dall’incontro «un’impressione poco favorevole». Dopo la guerra scrisse per i maggiori quotidiani nazionali, ma i suoi rapporti con i loro direttori furono spesso difficili.

Eppure fu sempre, nonostante l’imprevedibilità, fedele alla sua natura di coraggioso bastian contrario e, quando ebbe responsabilità pubbliche, straordinariamente efficiente. Fu un buon sottosegretario alla Ricostruzione e soprattutto un eccellente presidente dell’Arar, l’Azienda Rilievo Alienazione Residuati, a cui fu affidato il compito di recensire e mettere sul mercato i materiali che gli inglesi e gli americani avevano abbandonato sul territorio italiano: una montagna di armi, camion, pneumatici, materiale elettrico, impianti telegrafici e telefonici, piccolo naviglio, aerei, vestiti e medicinali, per un valore pari ad alcune migliaia di miliardi di lire del 2001. Fu quella la circostanza in cui seppe combinare al meglio il suo liberalismo e il suo socialismo.
Ma la sua mentalità e il suo stile furono molto più libertari che socialisti. In «Elogio della galera» scrisse: «Per me, un liberale sistematico è un anarchico dotato di senso storico». Parlava di se stesso, naturalmente.

Data: 
Mercoledì, 21 December, 2005
Autore: 
Fonte: 
Il Corriere della Sera
Stampa e regime: 
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Commenti

Siamo arrivati a un tal punto di cancellazione della memoria storica radicale e non solo, che qualsiasi recensione o ricordo di figure (come quella di Ernesto Rossi) a noi care, suscita in molti immediatamente entusiasmo e quasi commozione.
Ma sinceramente non vedo come questo "ritratto" di Rossi tratteggiato da Romano abbia suscitato tanta ammirazione nell'edizione odierna della rassegna stampa di Radioradicale.
Un Ernesto Rossi descritto quasi come una macchietta voltagabbana; un riferimento alla biografia scritta da Giuseppe Fiori che volutamente ignora tutta la parte della vita politica radicale di Ernesto Rossi, dal secondo dopoguerra in poi; nessun riferimento nemmeno qui al Rossi "radicale"...bah!