La prima, sola e vera, riforma in Italia è quella dello Stato: non l'aumento delle tasse
di Geminello Alvi
Frau Merkel si conferma ben provvista della virtù più rovinosa dei tedeschi: lo zelo. Quel talento per cui insistono ogni volta ad avanzare con impeto, quando sarebbe tempo di fermarsi, e arretrano invece disciplinati quando dovrebbero muovere in avanti.
Non c'è battaglia vinta, e guerra persa, dei tedeschi che non obbedisca a questo zelo che, per primo, un nipote dei fratelli Grimm biasimò inascoltato. E appunto Frau Merkel si dedica con ogni impeto a rispettare il Trattato di Maastricht, quando è moribondo. Ma al prezzo di contenere una domanda interna che andrebbe invece sostenu-
ta. Aumenta le tasse e cavalca la domanda esterna. Come se esportazioni ed investimenti all'estero potessero sanare i guai dei disoccupati, quando al contrario li aggravano. Come se il Bengodi in Cina fosse eterno, e la globalizzazione fosse quella finta da Clinton. Come se Maastricht e l'Euro fossero state quelle invenzioni sensate che non sono state.
Incurante di dubitarne il governo di Berlino, col rinforzo degli stracotti della Spd, ha scelto comunque d'insistere. Dice ai tedeschi, già stremati dalle ristrutturazioni, che la Patria richiede loro ancora più lavoro e meno occupati, e che il sollievo statale diminuirà. Il più facile commen-
to è che la coalizione su queste basi non dura. Ma l'errore grave in atto permetterebbe di dire molto d'altro.
Non c'è infatti errore tedesco, che non ne causi, per storica e verificabile conseguenza, uno italiano. Giacché gli italiani mai sono così nocivi a se stessi e agli altri come quando cercano d'evitare le brutte figure. È quel «dai, ma che figura ci facciamo» che si reincarna oggi nel reggiano, di parte non ariostesca, Prodi. Quel governo di sinistra che per il dolore dei suoi elettori dovesse insediarsi in Italia dando retta solo a lui, farà, io temo, come la Merkel. Inseguirà una domanda estera che è impossibile da tenere in proporzione al Pil ai livelli
degli Anni 90. Anche perché allora si era espansa grazie a una lira, santa e svalutata, che adesso non c'è più. Inoltre tra grandi imprese italiane e tedesche c'è la stessa differenza che separa i carri tigre e la Topolino, dunque non si possono forzare aumenti di produttività come quelli tedeschi. Col risultato che per rincorrere la domanda estera si richiederà un contenimento dei salari su cui già altri zelanti dissertano. Se il centrosinistra imita la Merkel, l'esito saranno insomma: più tasse, più soldi alle imprese e meno ai lavoratori. Il tutto nella rincorsa per non fare brutta figura e fingere che le nostre topolino evolvano a carri armati.
Con ogni mia mitezza mi permetterei perciò di domandare al centrosinistra: ma come può pensarsi che quello di cui si sente parlare sia un programma adeguato? Ma almeno leggetevi Toni Negri quando con spocchia spiega: «In crisi è il modello industriale fordista, che prevedeva l'occupazione permanente, e uno schema di crescita indefinito, sostenuto dallo stato». Ed è proprio così: lo schema mentale di uno stato che riforma l'industria ed equilibra la società valeva con la Cee d'una volta, sia benedetta, e il Muro a proteggerci dalle smanie di lavoro cinesi. Nella globalizzazione non funziona. Serve a generare i guai francesi che deliziano i nervi di Negri. E che invece per me economista zarista, andrebbero risolti con splendide cariche di cosacchi.
Ma non divaghiamo. Quanto scrivo è che per obbedire a Maastricht e globalizzazione, le sinistre sono costrette a politiche di destra. E alla destra si apre perciò un'immensa possibilità di fare politica a sinistra.
E il libro di Tremonti in effetti già configura un verosimile scenario neomercantilista in Europa, che sarebbe contorno esterno ideale per dare più peso alla domanda interna. E se poi a destra si chiude il cerchio, si saldano le privatizzazioni del patrimonio statale ad una nuova
La prima, sola e vera, riforma in Italia è quella dello Stato: non l'aumento delle tasse
idea di stato leggero, il gioco è fatto. Si possono diminuire le tasse e aumentare la domanda interna, se protetti da una Bce e da una Ue opposte a quelle di oggi, e da un'occupazione nella pubblica amministrazione alleggerita di molto.
Sanità, istruzione, polizie, pensioni: questi gli argomenti dei risparmi e della maggiore efficienza da restituire, con più soldi in tasca e più salari netti, ai cittadini. Chi ci riesce comanderà. Quanti come Rutelli, sono nel centrosinistra tra i più sensati, devono avvedersene. Per tenersi buoni i bertinottiani e fargli ingoiare altri guai per i lavoratori, i prodisti non cambieranno lo stato. Anche se era fatto per un'economia che funzionava negli anni 70 e che oggi non ha più senso. La prima, sola e vera, riforma in Italia oggi è quella dello Stato, e non quella di più tasse e meno salari. Non lasciamoci fuorviare dai nostri atavismi coi tedeschi, facciamo anzi l'opposto di Frau Merkel.