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«Stress da detenzione e superlavoro, sembrava provato»

Testo: 

PISA - «Qua dentro vedo cose tremende. Ragazzi che si tagliano, che si spezzano le ossa, che ingoiano lamette e accendini. L’autolesionismo in carcere è un fenomeno tragico e tragicamente usuale. Non si ha idea di quanti detenuti finiscano in ospedale perché fanno del male al proprio corpo». Lo raccontava a chiunque lo andasse a trovare. Adriano Sofri non riusciva ad accettare questo accanirsi contro se stessi dei suoi compagni di cella più disperati e più sventurati. E ora a pensare al suo corpo disteso immobile in un letto del reparto di rianimazione, a pensarlo con tutti i tubi e le flebo che lo tengono attaccato al mondo, a pensarlo lacerato dopo un intervento chirurgico di più di tre ore, tornano in mente le sue riflessioni sul disastro che il carcere provoca sui corpi senza speranza dei detenuti. «Siamo corpi rinchiusi», diceva.

E come è possibile dimenticare l’immagine di Ovidio Bompressi che lascia la sua cella sopra una sedia a rotelle perché il suo corpo non reagisce più agli stimoli della vita. Ridotto quasi a larva dalla detenzione. «Nessuno, tranne quelli che lo hanno provato, può capire cosa significa sentire chiudersi la porta alle spalle. Definitivamente».
Lo diceva l’ex leader di Lotta Continua commentando lo stato di totale assenza nel quale era caduto Bompressi dopo molti mesi passati in carcere, oltretutto con la convinzione di essere innocente e di essere stato schiacciato da un’inchiesta claudicante e da un iter processuale quanto meno tortuoso.

E se la prossima tappa di questo iter sarà la sospensione della pena (dovrebbe scattare da lunedì, secondo quanto è trapelato dopo la visita del magistrato di sorveglianza), rimane il mistero sull’origine della perforazione dell’esofago che ha portato in sala operatoria.
«Stress, logorio, fatica emotiva: Adriano sopporta con incredibile sobrietà e discrezione la sua vicenda terribile», dice Michele Ciliberto, prorettore alle biblioteche dell’Università di Pisa. «Permesso lavorativo», guai a chiamarlo «semilibertà». «Non c’è nessuna porzione di libertà - diceva Sofri -, esco a lavorare e basta». «E lavora in modo splendido - continua Ciliberto -, la decisione difficile che abbiamo preso qualche mese fa è risultata perfetta: Sofri è una persona dalle qualità intellettuali e umane straordinarie». Un affetto che gli testimonia anche Salvatore Settis, il direttore della Normale, che si dichiara «dispiaciutissimo e profondamente scosso da ciò che è capitato a Sofri» ma non vuole parlarne, «è davvero un dolore personale».

È stato proprio Settis nella notte tra venerdì e sabato a intervenire perché l’ex leader di Lotta Continua fosse operato dai migliori chirurghi. Negli ultimi tempi, raccontano gli amici, sembrava un po’ più stanco e provato del solito. I suoi acciacchi non lo lasciavano in pace. Una bronchite che andava e veniva. Disturbi gastrici. E poi lavorava molto. Stava preparando una relazione sulla politica esterna per il prossimo seminario dei Ds. È stato, proprio pochi giorni fa, uno dei promotori della «rinascita» di una vecchia sigla: «La sinistra per Israele». E poi aveva registrato un video che sarà proiettato al San Carlo di Napoli: una riflessione sulla libertà legata al Fidelio di Beethoven. In cui afferma: «Forse la più grande lezione del Novecento, a parte gli stermini, è che le galere affratellano i carcerati».

Roberto Delera

Data: 
Domenica, 27 November, 2005
Autore: 
Fonte: 
Il Corriere della Sera
Stampa e regime: 
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