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«Mubarak rivincerà, ma è sempre più fragile»

Testo: 

Emma Bonino: «Il processo democratico è ancora molto lento. Però ora è inarrestabile»

Eurodeputato radicale ed ex commissario Ue, una casa al Cairo ormai da anni, attivista per i diritti umani e più volte capo di missioni elettorali nelle aree più calde del mondo: Emma Bonino parla delle elezioni parlamentari che inizieranno domani in Egitto, dei problemi del governo Mubarak, della difficile strada del più grande Paese arabo verso la democrazia. Cosa si aspetta da questo voto che per molti, più ancora che le recenti presidenziali, rappresenta un test di democrazia ma che sembra già segnato da irregolarità?
«Dovremo vedere i risultati ma è certo che la preparazione elettorale è preoccupante, dall’esperienza che ho acquisito da tre mesi di Afghanistan o in Ecuador posso dire che qualsiasi missione elettorale seria avrebbe fatto rapporti molto duri. Il punto fondamentale sono gli elenchi degli elettori che non sono pubblici, le molte irregolarità non controllabili. Al Cairo i nomi dei candidati sono noti solo dal 27 ottobre: ovvero non c’è stata nessuna campagna elettorale, solo i candidati che hanno forti clientele possono vincere, sempre gli stessi».
Il partito Nazional Democratico di Mubarak avrà la maggioranza assoluta come sempre. Cosa potrebbe cambiare, comunque?
«L’obiettivo sarebbe quello di creare almeno una seria opposizione in Parlamento. Ma in Egitto c’è il solito gioco degli indipendenti, che una volta eletti sono cooptati nel Pnd così come i nostri indipendenti di sinistra di una volta poi erano la ruota di scorta del Pci. Parte dell’opposizione ha tentato di creare un Fronte comune, senza grandi risultati ma non mi stupisco: cosa possono fare insieme marxisti, islamici, panarabisti, nasseriani? Le donne sono un misero 0,4% dei candidati. La gestione della tv non è certo stata neutrale: il raìs era sempre in video. Perfino all’interno del Pnd l’ala giovane che fa capo al figlio Gamal è stata marginalizzata: vincerà ancora una volta la vecchia guardia. E’ un passo indietro per la democrazia ma anche prova della fragilità di Mubarak. Fortunatamente, dico io».
Qualcuno pensa che il raìs voglia la maggioranza assoluta dell’Assemblea per passare il comando al figlio Gamal.
«Non credo, fino al 2001 forse avrebbe potuto operare un passaggio di consegne in famiglia senza problemi. Ma oggi il regime è impaurito, fragile e sa di esserlo: tanto che l’unico partito che poteva destabilizzarlo, il Ghad di Ayman Nour, è stato tenuto lontano con ogni mezzo, impegnando continuamente il suo presidente in vicende legali. Due settimane fa il grande sociologo e attivista Saad El Din Ibrahim è stato attaccato da squadristi durante una riunione dell’Egyptian Taskforce for Democracy. Il regime non è in grado di affrontare una normale dialettica di opposizione politica, sta compiendo passi indietro per paura. Ma è comprensibile: l’Egitto non vive nel vuoto pneumatico ma in una regione dove un "normale" assassinio politico come quello di Hariri ha portato in pochissimo tempo al ritiro dei siriani dal Libano, all’incriminazione del cognato di Assad. Cose che prima del 2001, mi dicono molti amici arabi, nemmeno i più visionari potevano aspettarsi. Nella regione tutto è in movimento, i governi sono in bilico. Per fortuna, ripeto. L’Egitto è parte di questo processo».
Sulla stampa araba qualcuno ha parlato di patti segreti tra il raìs e i Fratelli musulmani: anche questo sarebbe segno di debolezza del regime?
«Non credo ci sia nessun accordo. Al massimo convergenze di interessi contrapposti, se la geometria consente questo termine. Come non credo che i Fratelli musulmani in Egitto costituiscano un rischio di islamizzazione, sono minoritari e andrebbero legalizzati, dopo di che dovrebbero come tutti assumersi le loro responsabilità».
Oltre alla politica c’è l’importante dossier dei diritti umani spesso ignorati, lo status della donna, dei prigionieri politici. Come si comporterà il regime, una volta vinto?
«Dipenderà tutto dalle pressioni internazionali. Molti Paesi si muovono per necessità più che per virtù. Ma le pressioni internazionali dipenderanno da quanto il Cairo saprà collaborare in qualche conflitto aperto della regione, che si compone e ricompone velocemente, dove la Lega Araba ormai non gioca più nessun ruolo e i regimi non sono più nemmeno solidali tra loro. Se Mubarak avrà un ruolo positivo in qualche conflitto potrebbe usarlo nei suoi rapporti con l’Occidente» .
La «primavera» del Cairo è quindi già finita? Le aperture che ci sono state verranno cancellate?
«No, non si torna indietro. Rispetto al 2000 la vera differenza è che ora tutto o quasi è pubblico, è sotto gli occhi di tutti. Ma c’è il rischio che il processo sia troppo lento e alla fine tutto risulti inutile. Nel mondo del 2005 la scelta dei tempi è fondamentale».

Cecilia Zecchinelli

Data: 
Martedì, 8 November, 2005
Autore: 
Fonte: 
Il Corriere della Sera
Stampa e regime: 
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