di B. Della Vedova
Vi sono tanti modi per raccontare la crisi dell’economia italiana. Paolo Madron ha scelto di raccontare, pur con l'aggiunta di molti flashback, le avventure e le disavventure del capitalismo italiano nell’ultimo lustro, dalla morte di Cuccia all'irrompere sulla scena degli «immobiliaristi».
Nel suo godibilissimo «Il lato debole dei poteri forti», il vicedirettore di Panorama parte dalla sua soddisfazione per la riabilitazione postuma del «furetto» di Mediobanca, la cui scomparsa coincise con l'inizio dello sgretolamento dei poteri forti dell’economia italiana, la cui forza era «proporzionale alla benevolenza dello stratega che tracciava loro la strada da seguire». Ma conclude sottolineando come la Mediobanca di Cuccia aveva operato in un mercato protetto, sovrintendendo «a un regime autarchico».
Squadernando «miserie (molte) e virtù (poche)» del capitalismo e dei capitalisti italiani, Madron conduce un’analisi impietosa della realtà industriale del nostro Paese. La storia, neppure quella economica, non si fa con i «se». Eppure leggendo queste pagine non ci si può sottrarre a un interrogativo: non fu proprio Mediobanca a costituire l'architrave di quello che è stato descritto come il «capitalismo di relazioni», dove l'alleanza e l'entratura «giusta» garantivano assai più che la capacità di fare buoni prodotti? Quella cura paternalistica delle grandi aziende private italiane, non di rado sottratte al «naturale» destino del fallimento, ha rafforzato o indebolito il sistema produttivo italiano? Non sta forse anche in quella fitta rete di partecipazioni incrociate e di forzate solidarietà garantite da Cuccia una delle ragioni per cui l'industria italiana si è trovata più impreparata di altre all'avvento dell’euro e della Cina?
L'autore ci ricorda come il longevo banchiere d'affari non nominava mai il mercato, anzi «il mercato era per definizione l'esatto antagonista di quel che il banchiere architettava»; e ci ammonisce, giustamente, che dietro la ossessiva celebrazione che oggi se ne fa in convegni e tavole rotonde non si ritrovi un reale interesse alle liberalizzazioni.
Ma ciò non toglie che la mancanza di concorrenza, di contendibilità, di flessibilità, di apertura all'internazionalizzazione restino i mali principali che affliggono l'economia italiana e che «il mercato» sia la cura più promettente.