You are here

I laici sono tanti, milioni di milioni. Non puntate al 4% se volete centrarlo.

Testo: 

C'è forse qualcuno che non può non rallegrarsi del fidanzamento tra socialisti dello Sdì e radicali di Pannella e Bonino con l'annunziato allargamento a De Michelis e Bobo Craxi? Dopo anni di assenze e di delusioni quanti in qualche modo fanno riferimento alle famiglie socialista riformista, liberale riformatrice e laica radicale non possono che considerare con piacere il nuovo inizio sprigionato da Fiuggi sia con la vigorosa riproposizione di un'identità ideale e culturale che negli ultimi anni si era notevolmente appannata, sia con la progettazione di un soggetto politico che intende presentarsi come tale sulla scena elettorale. E' stato Biagio De Giovanni a sottolineare da queste colonne il valore positivo della convenzione partendo dalla sua tradizione riformista postcomunista. Da parte mia vorrei aggiungere il vivo interesse di chi ha vissuto l'intera vicenda del Partito radicale dai Cinquanta ai Novanta che vide un intenso dialogo e molte comuni iniziative tra Bettino Craxi e Marco Pannella.

Ciò premesso, non si può fare a meno di interrogarsi su quel che l'incontro radical-socialista non deve essere, e dove si nasconde il potenziale di successo dell'iniziativa. Come hanno ricordato a Fiuggi Boselli e Capezzone, un'operazione di reduci che mettesse in comune le rispettive debolezze arricchendole di un glorioso panteon non avrebbe né ascolto né prospettive. Anche l'unità socialista, pur se serve a rinfrancare i tanti socialisti che in questi anni hanno dovuto subire con il giustizialismo la diaspora, in sé e per sé non sarebbe granché utile alla causa riformatrice liberale e socialista che oggi ha bisogno non tanto di enunciare una ben distinta identità politica e culturale, quanto di incidere sulla trasformazione del paese. E' questa la grande attesa che finora è andata delusa da tutte le parti. Gli stessi radicali, che nelle coraggiose posizioni tenute in questi anni non hanno mai annacquato la loro carica riformatrice sul terreno delle libertà e dei diritti, devono potere tradurre quelle istanze largamente sentite nella società, in concrete realizzazioni politiche.

Ritenere che l'iniziativa socialista-radicale acquisti un senso e una prospettiva solo perché ieri le varie sezioni delle famiglie politiche erano divise tra centrodestra e centrosinistra e oggi, invece, sono all'interno dello stesso schieramento - l'Unione - è un falso problema. Non ci deve stancare di ripetere che la riforma liberale e socialista in Italia è minoritaria sia da una parte che dall'altra. Nel centrodestra si sono di gran lunga scolorite le promesse di una Forza Italia modernizzatrice all'insegna della liberalizzazione dello Stato e della società mentre hanno preso il sopravvento le pulsioni populiste, conservataci e neoclericali spesso mascherate da liberali. Nel centrosinistra sussistono fortissimi istinti statalisti, massimalisti e organicisti presenti in tutte le forze nonostante i grandi passi avanti in senso riformista compiuti dai Ds. E l'influenza cattolica-concordataria pesa in uguale misura sia da una parte che dall'altra con effetti riduttivi della stessa autonomia della politica. Ma questo è quel che il mercato politico italiano offre alle forze della riforma liberale e socialista da sempre minoritarie che oggi contano ancor meno nell'ambito di questo bipolarismo.

Perciò socialisti e radicali potranno contare essenzialmente sulle loro forze per tradurre quell'identità che hanno espresso a Fiuggi in operante azione riformatrice. Il programma e il progetto che si apprestano a mettere a punto è si importante e necessario, ma non è sufficiente al successo dell'operazione se ha l'ambizione, come sembra che abbia, di andare bel al di là dell'obiettivo minimo del 4%. La parte più importante della sfida sta nel sapere cogliere quella grande riserva di consenso che esiste tra gli elettori, fuori da quanti sono stabilmente inquadrati nei diversi gruppi che confluiscono nell'operazione unitaria. Le analisi elettorali dicono che finora vi sono stati cinque milioni di elettori che hanno oscillato tra l'uno e l'altro polo, rifugiandosi spesso nella grande riserva degli astenuti. Il 10% dei voti in meno ottenuti dalla Casa delle libertà alle elezioni regionali rispetto al 2001, deriva per lo più da questa massa di elettori più o meno di ispirazione laica, liberale e socialista democratica che avevano scelto il centrodestra come il campo più permeabile ai loro valori e interessi e che sono stati delusi.

La sfida, dunque, è difficile. Perché i radicali e i socialisti dovrebbero innanzitutto mettersi in condizione di superare le eredità dei rispettivi patrimoni che sono stati buoni per altri tempi e altre situazioni. La gloriosa socialdemocrazia che ha dato tanto all'Europa del dopoguerra non è più quella di cui c'è bisogno nel Duemila. E dopo Giovanni Paolo II e l'affacciarsi della possibilità di manipolazione della vita, lo scontro con il clericalismo non è più lo stesso dei gloriosi tempi del divorzio. Quel passato che trent'anni fa vide il lavorio intorno a Craxi e/o a Pannella per un'operazione mitterrandiana in Italia e che poi naufragò negli anni Ottanta, è un passato che non torna più. Oggi i socialisti - da Boselli a De Michelis, da Villetti a Bobo Craxi - devono riuscire a guardare al di fuori dei drammi che hanno accompagnato la loro recente storia politica. Oggi i radicali - da Pannella a Bonino, da Capezzone a Cappato - dovrebbero avere la forza di mettere il grand'angolo alla loro visione della realtà, lo stesso che in passato portò ad operazioni miracolose come nel 1979 l'irruzione in massa dei radicali in Parlamento e nel 1999 l'8,5% dei voti alla lista Bonino. Oggi, socialisti e radicali possono raccogliere meno della somma dei pochissimi voti che, separati, hanno finora ottenuto. Oppure possono esplodere rappresentando la vera novità del sistema politico italiano pur nel quadro dello zoppicante bipolarismo.

di Massimo Teodori

Data: 
Martedì, 27 September, 2005
Autore: 
Fonte: 
IL RIFORMISTA
Stampa e regime: 
Condividi/salva