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Embrione, fede, ragione. C'è vita e vita

Testo: 

Non capisco perché Rocco Buttiglione ( Corriere del 2 marzo) si meravigli che io parli «di diritto alla vita in nome della ragione e come interprete della scienza». Perché non dovrei? Sono libero docente in Storia della filosofia moderna, materia che ho insegnato alla Università di Firenze tenendo corsi anche e proprio su Hegel (che sono agli atti e che il Nostro può reperire). Ho anche insegnato a lungo logica, filosofia e metodologia della scienza. Pertanto non mi sento per niente inabilitato a interloquire; e proprio la mia «infarinatura» filosofica mi consente di sfuggire alle trappole che mi tende il bravo Buttiglione. La prima è di travestirmi da hegeliano. No. Quando dichiaro che la vita umana è caratterizzata dalla autoconsapevolezza non mi riferisco a Hegel (tantovero che non dico «autocoscienza») ma al puro e semplice significato letterale del termine: l'essere consapevole di se stesso. Rispetto alla stratosfera hegeliana io volo raso terra, il che mi salva dalla obiezione «che non tutti gli uomini sono autocoscienti». Il Nostro illustra poi così: «E non solo non è autocosciente l'embrione, ma non è autocosciente neppure il feto». Bravissimo, grazie, sembra ovvio anche a me. Dopodiché continua, secondo me con sempre minore bravura, osservando che «non sono autocoscienti molti disabili, e che non siamo autocoscienti tutti noi almeno quando dormiamo». Questa poi. Io mi riferisco a una capacità, e se questa capacità dorme quando dormo, si risveglia quando mi sveglio. Una capacità non deve essere attiva ventiquattr'ore su ventiquattro; basta che sia attivabile.
Buttiglione mi chiede anche - trappola filosofica numero due - di definire «quell'io di cui (del quale) dobbiamo essere coscienti per avere diritto alla vita». Ma proprio no.
Se ci tiene, l'Io (meglio con la maiuscola) lo definisca lui. Per il mio discorso terra terra proprio non occorre. E me ne guardo bene, anche perché convengo con lui che «le categorie filosofiche hanno un potenziale esplosivo», che vanno maneggiate «con molta attenzione», e che nessuno di noi (ma il rimprovero è implicitamente rivolto a me) si deve arrogare «la rappresentanza esclusiva della ragione». Difatti io, sul punto, mi acquatto sotto la eminentissima tonaca di San Tommaso. Che passo a citare non a beneficio di Buttiglione, che certo lo ha letto, ma dell'altro mio contraddittore, Sandro Bondi, che invece dà mostra di masticare l'argomento con difficoltà. Nel mio editoriale notavo la stranezza di una Chiesa che nel definire la vita umana si dimentica dell'anima. Bondi mi salta addosso: è «stupefacente» affermare che l'anima «è un concetto dimenticato quando invece è essa uno dei fondamenti della fede». Certo che lo è. Proprio per questo sono io che trovo stupefacente che la Chiesa se ne dimentichi a proposito dell'embrione. E trovo anche stupefacente che Bondi non capisca il punto. Vediamo allora se ci arriva con l'aiuto di San Tommaso. Che passo, come annunziato, a citare.
L'Aquinate distingue tre «forme» dell'anima. La prima è l'«anima vegetativa» nella quale «l'embrione vive la vita della pianta»; poi «le succede un'anima più perfetta che è insieme nutritiva e sensitiva, e allora l'embrione vive la vita dell'animale»; e la terza è «l'anima razionale che viene infusa dall'esterno» (vedi la Summa contra Gentiles , 1258-64, trad. it. Utet, Torino, 1997, p. 511, Libro II, capitolo LXXXXIX). Dunque l'anima presente nell'embrione sarebbe, per il nostro doctor angelicus , soltanto vegetale (vive la vita della pianta) mentre io, più generosamente, le riconosco già vita animale; con il che resta pur sempre fermo che l'anima che qualifica la vita umana è l'anima razionale che è infusa da Dio e che arriva tardi, quando il nascituro è formato (vedi, passim , la Summa Theologiae ). E siccome il Tomismo è la struttura portante non solo della Scolastica ma di tutta la teologia cattolica, sull'embrione io mi sento teologicamente tranquillo.
Così come mi sento tranquillo - passando all'argomento razionale che la vita umana comincia con il «rendersi conto» - nel resistere alla tesi bondiana che «se il feto reagisce agli stimoli, apprende, esprime emozioni (non so come Bondi lo sappia, ma tant'è) dichiarare che ciò non è vita è il vero arbitrio». Il Nostro continua a confondere, come si vede, vita con vita umana. Per l'ennesima volta gli preciso: vita ovviamente sì; vita umana ancora no. Anche se sono io che dico, bontà di Bondi, «una colossale sciocchezza», la sua è una notevolissima ottusità.
Da ultimo l'intervento di ieri di Don Roberto Colombo, professore alla Università Cattolica di Milano. In verità, il suo intervento non mi riguarda più di tanto. Per esempio, io non penso nè ho mai detto che «i cattolici sono degli sprovveduti quanto alla ragione nè orfani del pensiero scientifico e filosofico». Penso però che se messo alle strette il cattolico dà la prevalenza alla sua fede, come è giusto che faccia. Infatti il messaggio del mio editoriale è che la ragione deve rispettare la fede così come, viceversa, la fede deve rispettare la ragione. Se poi al professor Colombo questa contrapposizione non piace, ne trovi pure un'altra. Ma una contrapposizione c'è, e la impone il principio della logica che il nostro non menziona tertium non datur . Alla fine, o fede o ragione. È il principio del terzo escluso.
Quel che mi sconcerta nell'argomentare del professor Colombo è l'apparizione della categoria «vita individuale». Stiamo forse discutendo se la vita sia individuale o collettiva? Sicuramente no. E allora quale è la rilevanza teoretica di questa categoria? A me sembra un ennesimo depistaggio che annebbia il problema che stiamo discutendo. Ciò detto, torniamo alla logica. Premesso che apprezzo molto che il Nostro scenda su questo terreno, non riesco poi a seguirlo nel come la stiracchia.
Cominciamo dal principio dell'identità: a=a. Qui il punto è che la logica non è diacronica, che non segue le metamorfosi di una entità nel tempo. È verissimo che il processo dello sviluppo da qualsiasi embrione a qualsiasi essere è continuo. Ma il principio di identità asserisce che a è a , non che a sarà a. La logica non consente di dichiarare che una pallina di caviale è uguale a uno storione. E dunque debbo insistere: l'argomento che un embrione è uguale a un essere umano, che è un individuo-persona perché sarà un individuo-persona, è logicamente assurdo. Attenzione: assurdo per la logica. Il che non «squalifica come assurdità ciò che la ragione del credente arriva a riconoscere attraverso la riflessione».
Analogamente non posso accettare il modo nel quale il Nostro forza il principio di non-contraddizione. Ripetendo l'argomento di Buttiglione il professor Colombo mi vuol costringere ad asserire (altrimenti mi contraddirei) che «il paziente in anestesia...l'anziano demente, il cerebroleso» non sono da tutelare «in quanto considerati vita animale». Ma proprio no, caro collega. Come ho già spiegato, l'attributo della consapevolezza denota una capacità. Se questa capacità viene addormentata o si atrofizza, una persona umana che è già tale, tale resta. La logica è uno schema che di volta in volta si applica a dei concetti. E temo che qui sia la fede a indurre Don Colombo a distorcere il concetto che adopero.
Una postilla in punto di onore. Io cerco di non scrivere a casaccio. Se nel mio editoriale ho scritto «alla Tertulliano» è perché sapevo benissimo che la formula credo quia absurdum è stata coniata da un autore ignoto. Però è un compendio che non tradisce lo spirito del tertullianismo. Ich habe auch Theologie studiert , anch'io ho anche studiato teologia.

di GIOVANNI SARTORI

Data: 
Venerdì, 4 March, 2005
Autore: 
Fonte: 
IL CORRIERE DELLA SERA
Stampa e regime: 
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