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Il fisco, la capra e i cavoli. Quella rivoluzione liberale.

Testo: 

I lettori sanno cosa penso della riforma fiscale del governo. Cercare di salvare capra ? la voracissima spesa pubblica ? e cavoli (il taglio delle tasse) non è la rivoluzione liberale. È1 navigare fra gli scogli degli interessi organizzati, dei privilegi, degli sprechi, dell'assistenza sanitaria per tutti e contro il raffreddore, cercando di non urtarli (leggi disturbarli) e illudendosi di far quadrare ugualmente i conti della finanza pubblica. Ho chiesto a chi fosse d'accordo - la riduzione strutturale della spesa pubblica è la pre-condizione del taglio delle tasse ? di alzare la mano. L'hanno fatto in pochi. Nel mondo politico, Michele Salvati, Franco Debenedetti e pochissimi altri; in quello dell'informazione, il direttore del Corriere e il Riformista. Tutti gli altri continuano a fare il pesce in barile e a parlare di «copertura finanziaria» come se fosse una cosa a sé stante rispetto alla spesa. Fare la rivoluzione liberale è fare in modo che il cittadino dipenda meno dallo Stato (leggi riduzione della spesa pubblica) e più da se stesso (leggi avere più soldi in tasca grazie al taglio delle tasse). Significa incoraggiarne e apprezzarne il senso di responsabilità nell'amministrare le proprie risorse. In definitiva, significa smetterla di trattarlo come un bambino irresponsabile, che ha bisogno di un padre (lo Stato) che lo guidi. E incominciare a rispettarlo.
Ecco, allora, perché non mi è piaciuto affatto chi, per sminuire la portata della riforma fiscale, ha quantificato metaforicamente in «trenta cappuccini» la cifra che il cittadino risparmierebbe. C'è ancora tanta gente, in Italia, che, prima di entrare tutti i giorni in un bar e comandare un cappuccino, si chiede se può permetterselo. Irridere ai «trenta cappuccini» non è sbeffeggiare la riforma?che ha i limiti che ha e di cui ho detto ? ma gli italiani che fanno i conti anche di fronte alla spesa per un cappuccino. Singolari «progressisti» (?!) coloro i quali dileggiano il risparmio di «trenta cappuccini». Magari, non indugiano di fronte all'acquisto di un quadro a colpi di miliardi e poi calcolano l'incidenza di un cappuccino sulla capacità di spesa di chi ha molto meno, come se le disponibilità di entrambi fossero le stesse. E' evidente che il risparmio di un cappuccino non è niente per chi, come si dice volgarmente, «non bada a spese». Ma sono proprio certi costoro che sia lo stesso per chi può trarre un qualche giovamento anche da un taglio delle tasse quantificabile in «trenta cappuccini»?
Ecco, allora, perché non mi è piaciuta affatto neppure la notizia delle (supposte) pressioni che alcuni leader del centrosinistra avrebbero esercitato sul commissario Ue agli Affari economici, Joaquin Almunia, affinché non riformi il Patto di stabilità, andando incontro alle richieste di Berlusconi. Credo ci siano tante buone ragioni per non toccare il Patto almeno quante ce ne siano, altrettanto buone, per riformarlo. Opporsi al suo cambiamento solo per impedire al Cav. di tagliare le tasse senza danni alla finanza pubblica (e vincere eventualmente le prossime elezioni) sarebbe il più squallido. Mi auguro che persone serie e stimabili come Piero Passino (che faccio? lo scrivo «forza»?) e Giuliano Amato si dissocino da chi eventualmente si fosse dato da fare con Almunia. E dicano se sono per una riduzione della spesa pubblica ? che cancelli privilegi, sprechi, assegnazioni clientelari di risorse altrimenti utilizzabili e, perché no, che razionalizzi e adegui alle reali esigenze del mondo in cui viviamo l'attuale welfare ? come premessa di una riduzione della pressione fiscale. Non fosse altro perché i «parassiti» della spesa pubblica sono elettoralmente meno numerosi di quelli che vorrebbero bere qualche cappuccino in più. Meditate gente, meditate.

posteliino@corriere.it

Data: 
Sabato, 4 December, 2004
Autore: 
Fonte: 
IL CORRIERE DELLA SERA
Stampa e regime: 
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