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I TRABOCCHETTI DEL PROVVISORIO

Testo: 

Per spiegare una crisi così imbrogliata possiamo soltanto avanzare qualche ipotesi. Una possibile interpretazione è questa. Le elezioni europee hanno inferto un brutto colpo al premier, ma hanno dato qualche voto in più agli alleati della coalizione. Questa radiografia aggiornata dei rapporti di forza nel governo ha riacceso tutti i malumori latenti e le ambizioni frustrate che Berlusconi aveva cercato di controllare alla giornata promettendo correzioni e compensazioni che non aveva alcuna intenzione di concedere. Le rivendicazioni erano dirette in buona parte contro il partito di Umberto Bossi, cui il premier ha regalato una quota di potere che appare a molti sproporzionata, ma hanno investito il principale alleato della Lega, Giulio Tremonti. Come ministro dell'Economia, è stato abile, intelligente, comprensibilmente rigoroso e tirannico, ma incline a trattare Bossi e i suoi costosi programmi federalisti con minore severità di quanta ne abbia usata per le esigenze elettorali di An e Udc. Occorreva quindi ridurre il potere di Tremonti per meglio ridurre quello della Lega. E occorreva approfittare delle prossime scadenze finanziarie, europee e nazionali. Per Gianfranco Fini, in particolare, la questione era vitale. Se non fosse riuscito a capitalizzare il successo elettorale di An, il vicepresidente del Consiglio avrebbe offerto un'occasione ai compagni di partito che attendono il momento propizio per rimettere in discussione la sua leadership .
Ma anche il presidente del Consiglio aveva le sue esigenze. Per riconquistare il consenso perduto, Berlusconi ha rilanciato il progetto di riduzione delle imposte che gli aveva dato la vittoria nel 2001 e che è rimasto da allora nel cassetto. E' possibile licenziare Tremonti, accontentare Fini, realizzare il federalismo della Lega e diminuire contemporaneamente il carico fiscale del contribuente italiano? Se il debito pubblico ammonta al 106% del prodotto interno lordo e il taglio della spesa pubblica appare sempre più improbabile, la risposta è no. Ma i partiti di governo hanno fatto propria la massima di un vecchio leader socialista, Pietro Nenni, che non sapeva nulla di economia: politique d'abord , la politica innanzitutto. Se tutto è politica, così hanno ragionato i protagonisti della crisi, ai problemi economici e finanziari del Paese provvederà qualcun altro, appena possibile. E' accaduto spesso in passato. Perché non dovrebbe accadere ancora una volta?
Non deve accadere per due ragioni. In primo luogo perché dobbiamo soprattutto a crisi di questo genere il debito pubblico, il deficit di bilancio e i molti disastri aziendali che hanno escluso l'Italia, negli ultimi quarant'anni, da alcuni settori decisivi dell'economia mondiale. In secondo luogo perché i conti dell'economia italiana non si fanno più principalmente a Roma. Si fanno anche a Bruxelles e nelle maggiori capitali finanziarie. Litigando nei loro palazzi, i nostri uomini di governo sembrano non essersi accorti che al tavolo delle loro discussioni assistevano in silenzio, come ombre di Banquo, due convitati: l'Unione europea e le agenzie che certificano l'affidabilità dei sistemi finanziari nazionali e hanno così un'influenza decisiva sui tassi d'interesse che i governi debbono pagare per raccogliere denaro sui mercati.
Ecco perché l'Italia non può accontentarsi di un ministro dell'Economia provvisorio che ha ben altre responsabilità nazionali e diverrebbe inoltre, come responsabile del Tesoro, proprietario di un'azienda (la Rai) in concorrenza con la propria. Al Paese serve un ministro a tempo pieno e autorevole che spieghi ai suoi connazionali quale sarà d'ora in poi la politica economica e finanziaria italiana.

di SERGIO ROMANO

Data: 
Martedì, 6 July, 2004
Autore: 
Fonte: 
IL CORRIERE DELLA SERA
Stampa e regime: 
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