Con la relazione dell'Autorità antitrust, letta l'altro giorno dal presidente Tesauro, si chiude, poco gloriosamente, un altro capitolo di una lunga storia. Quella del tentativo compiuto dalla politica italiana a partire dalla metà degli anni 70, e conclusosi simbolicamente nel 1994 (con l'adozione del nuovo sistema elettorale), volto a rinnovare insieme se stessa e il Paese elaborando regole e istituzioni nuove. I capitoli sono, per citarne alla rinfusa solo alcuni, quelli delle riforme della Rai e del nuovo processo penale, della legge sulla responsabilità civile dei giudici e sulla regolamentazione degli scioperi, quello del finanziamento pubblico ai partiti, nonché quello delle privatizzazioni di cui ci ha parlato appunto il presidente Tesauro. Secondo il quale, esse non sono riuscite quasi mai, però, a conseguire quello che doveva essere il loro principale obiettivo, cioè l'introduzione di un regime di concorrenza con il relativo abbassamento dei prezzi al pubblico. In troppi casi è accaduto invece esattamente il contrario. Nel giro di dieci anni, ad esempio, le tariffe delle polizze auto sono cresciute del 131 per cento, quelle dei voli aerei nazionali di oltre il 30, i servizi bancoposta del 40 per cento in soli sette anni; anche il sistema delle telecomunicazioni, dal canto suo, continua a manifestare uno scarso grado di concorrenza. Il presidente dell'antitrust, infine, ha definito incredibile il costo della bolletta dell'energia elettrica e del gas che i consumatori italiani sono costretti a pagare all'Enel e all'Eni, costo di gran lunga superiore a quanto si paga altrove nel nostro continente.
Le parole di Tesauro sollecitano almeno due considerazioni. La prima riguarda la natura e le qualità del capitalismo italiano. I suoi settori di punta, incapaci di procedere ad acquisizioni di rilievo sui mercati forti stranieri, hanno mostrato viceversa una sempre maggiore propensione a rifugiarsi nei comparti ex pubblici dei servizi, delle banche, delle utilities . Cioè laddove, proprio in ragione dei trascorsi monopolistici appena scalfiti dalle privatizzazioni, era possibile mantenere situazioni sostanziali di cartello, tariffe alte e scaricare ogni costo sui consumatori.
Il Paese deve prendere coscienza e discutere, credo, di questo stato di cose che certo non sta favorendo molto la sua crescita economica. Perché, mi chiedo, il presidente della Confindustria Cordero di Montezemolo non dà il buon esempio e non apre lui per primo il dibattito su questi temi che, proprio perché scomodi, sono quelli dove si dimostrano il temperamento e la caratura di un autentico leader?
La seconda considerazione riguarda il governo, il presidente Berlusconi. Mai definizione affibbiatagli dai suoi critici appare meno appropriata di quella di «populista». Fino a prova contraria, infatti, i veri populisti sono sempre stati nemici del big business , dei monopoli, dell'alta finanza, e difensori convinti dei piccoli, dei consumatori. Anche come populista, insomma, Berlusconi non sembra davvero granché. Così come non sembra granché come liberale (quale si è sempre vantato di essere) il suo ministro delle Attività produttive, Marzano, il cui compassato torpore non è stato mai scalfito per tre lunghi anni dal sospetto che la situazione oggi denunciata dal presidente dell'Antitrust forse richiedeva una qualche azione da parte sua.
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA