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"I politici sono senza cuore io voglio solo un figlio sano"

Testo: 

Fecondazione, Laura racconta il suo calvario a causa della legge che le ha imposto l'impianto di un embrione forse malato

di MICHELA GIUFFRIDA

CATANIA - "Ho fatto il test di gravidanza. È negativo. Avevo già probabilità bassissime di avere un bambino con un solo embrione. Il 2%, calcolano i medici. Ma era un percorso da fare in assoluta serenità. Io invece ero sconvolta. Da quella sentenza, emessa in ossequio a una legge crudele, che mi imponeva un principio pazzesco. Così ho avuto un crollo emotivo oltre che fisico. L'ordinanza del giudice Lima era stata emessa lunedì 3 maggio. Il giovedì, tre giorni prima dell'impianto in utero, sono finita in ospedale perché vomitavo sangue. Gastrite nervosa, mi dissero i medici. L'8 maggio, al centro Hera, fecero l'esame sul Dna dell'unico embrione vitale. Era sano, cioè portatore come me di betatalassemia. Il giorno successivo me lo impiantarono. Ma è stato tutto inutile".

La voce ferma, le parole misurate, la rabbia che affiora mentre ripercorre il calvario delle ultime settimane, fino all'epilogo di ieri, con la comparsa delle mestruazioni. Ma Laura, il nome è di fantasia, non si dà per vinta. E annuncia battaglia, contro una legge che definisce "atroce, fatta da parlamentari senza cuore".

Perché decise di rivolgersi al giudice Lima?
"Perché mi sembrava pazzesco che potessi essere obbligata a ricevere un embrione malato. Mi ripetevo: il mio è un caso particolare, per noi il rischio di generare un figlio talassemico è alto, il giudice capirà. E poi io ho già avuto tre aborti e una gravidanza extrauterina durante la quale ho rischiato la pelle. Invece mi è stata prospettata la via dell'aborto terapeutico, ma terapeutico perché e per chi?... "

Come maturò la decisione di revocare il consenso comunicato con la lettera al dottore Guglielmino?
"Io avevo cominciato la terapia prima che la legge entrasse in vigore. La nostra fu una corsa contro il tempo, contro quella legge che fu approvata prima del previsto. Ed io, che ero a metà cura, non me la sentii più di accettare l'ipotesi di ricevere un embrione malato".

L'ordinanza del giudice arrivò prima che si effettuasse l'impianto.
"Furono giorni da incubo. Avevo partecipato all'unica udienza con il giudice che avanzava mille dubbi. Ebbi la sensazione che già in quella sede si stesse giudicando. Me, la nostra decisione di coppia. Da quella sentenza siamo venuti fuori come una coppia capricciosa nella nostra voglia di avere a tutti i costi un figlio sano. Ma non è il desiderio legittimo? O è un diritto che non è un diritto? Io non ho chiesto di sapere se il bimbo avesse la sindrome di Down o altro. Chiedevo solo di non essere obbligata a iniziare la gravidanza di un figlio talassemico, con la certezza che lo sarebbe stato".

E se l'embrione fosse risultato malato cosa avrebbe fatto?
"Il giudice si era espresso chiaramente, si doveva procedere all'impianto. Cosa avrei potuto fare? Fuggire? Mi sentivo impazzire... In quel caso avrei dovuto sperare che l'impianto non attecchisse, e, in ultima analisi avrei dovuto scegliere di abortire. L'alternativa sarebbe stata mettere al mondo un figlio che mi avrebbe rinfacciato l'egoismo della scelta. Io sono una insegnante di sostegno, vivo ogni giorno a contatto con l'handicap, so quanto spesso si viva male".

Allora avete abbandonato l'idea di un figlio vostro?
"Non so chi abbia messo in giro la storia che adotteremo un bambino. Non è vero. Io non mi rassegno. Spero invece che la legge apra spiragli per casi come il nostro. E porterò avanti questa lotta perché altre donne, sterili come me, non vivano questo calvario. Oltre al danno della natura ho subito la beffa di una normativa che mi ha fatto perdere due volte: l'embrione che avevo in grembo e la battaglia davanti a un giudice che ha dovuto applicare una legge che va cambiata".

Data: 
Giovedì, 27 May, 2004
Autore: 
Fonte: 
La Repubblica
Stampa e regime: 
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