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Italiane e irachene fianco a fianco per ricostruire

Testo: 

Da domenica 21 marzo una delegazione radicale si trova a Nassiriya
«Widad Kareem distribuisce cibo e medicinali. Il generale Chiarini: con lei so dove vanno tutti gli aiuti»
DI EMMA BONINO

Alla conferenza intergovernativa di Sana'a, nello Yemen, organizzata nel gennaio scorso dall'associazione «Non c'è pace senza giustizia», i ministri iracheni invitarono Emma Bonino a Bagdad. Domenica 21 marzo una delegazione radicale di eurodeputati - la stessa Bonino, Marco Cappato e Gianfranco Dell'Alba - è giunta in Iraq per una visita di tre giorni. Prima tappa, Nassiriya.

Sono in Iraq. Siamo partiti all'alba da Kuwait City, con un C130 dell'Aeronautica che ha viaggiato a zig zig per ridurre il rischio di essere colpito dai missili portatili: a volte, i beduini ne riservano uno ai velivoli di passaggio. Alla fine l'aereo si è posato sulla pista della base italiana di Nassiriya, al centro dell'ampia area a noi attribuita. È la più devastata dall'oppressione di Saddam, tanto che m'impedirono di visitarla nel mio precedente viaggio in Iraq come Commissaria europea agli aiuti umanitari. Ad accogliere la delegazione radicale c'è il comandante della 132ª brigata corazzata Ariete, generale Gian Marco Chiarini, e tutto il suo Stato Maggiore.
Chiarini ci fa subito il quadro della situazione sul terreno: 2.893 militari italiani, più 600 tra rumeni e portoghesi, per controllare un territorio grande come il Kosovo, scarsamente abitato e acquitrinoso - con problemi di saccheggi, ruberie e assalti ai treni - a Sud; più popoloso a Nord, con problemi di fondamentalismo religioso legati all'infiltrazione iraniana. Dalle parole del generale, emerge la consapevolezza che gli italiani stanno assolvendo al meglio al loro compito: proteggere le istituzioni della coalizione e del governo provvisorio (anche grazie a un servizio di emergenza sul modello del nostro 113), formare le forze locali, ma anche ricostruire e attivare le infrastrutture e i servizi di base, a partire dalla scuola e dagli ospedali.
Il nostro contingente, fra Esercito e Carabinieri, deve fare ogni giorno i conti con i tre principali attori che cercano di occupare, anche con la violenza, il vuoto creatosi alla caduta di Saddam: capi tribù (tanto influenti da rifornire di uomini la polizia), partiti politici (più di 20, in realtà privi di qualsiasi programma), leader religiosi sciiti particolarmente forti nel Sud (e detentori dell'unico mezzo di comunicazione di massa: la preghiera del venerdì). Dopo un buon caffè espresso, cominciano gli incontri in programma. Il governatore della provincia di Dhi Qar, Ramadi - «quando vuole, parla inglese», fa maliziosamente notare il generale -, ci descrive una situazione di grande miseria, ereditata dagli anni del regime. Quattro ore di elettricità al giorno all'epoca di Saddam, due strade asfaltate in tutta Nassiriya, una situazione sanitaria di massimo degrado. Oggi le cose si muovono (il governatore ne dà atto agli italiani), ma non abbastanza rapidamente: «Non sono felice, prima del passaggio dei poteri del 30 giugno il tempo è poco». Ho incontrato poi Widad Kareem, presidente dell'associazione piu impegnata nella promozione dei diritti delle donne: 10 persone a Nassiriya, 85 in tutta la provincia, per distribuire cibo e medicinali e aiutare le donne a essere finalmente protagoniste del vivere civile. Il generale ne ha fiducia: «Con lei so dove vanno a finire i nostri aiuti».
Dopo le donne irachene, le donne italiane a Nassiriya: sono le soldatesse e le volontarie della Croce rossa che abbiamo incontrato nel grande tendone da campo delle riunioni operative. Alcune le avevo incrociate in Kosovo e in Bosnia, altre veterane dell'Afghanistan, insieme mi hanno trasmesso l'entusiasmo per la loro missione.
Il momento del pranzo, nella nuovissima struttura da campo, è anche l'occasione per salutare i tanti militari presenti, un po' stupiti, un po' incuriositi, alla fine credo felici di vederci con loro. C'era il colonnello Burgio, Comandante del reggimento dei Carabinieri che ha pagato un così alto tributo di sangue nello svolgimento della propria missione.
La visita a Nassiriya si è chiusa con un incontro che prefigura quello che potrà diventare il dibattito e il confronto politico di una società improvvisamente più libera e al tempo stesso piena di tensioni e contraddizioni. Stiamo oltre tre quarti d'ora a discutere con una decina di donne irachene attive nei campi più vari: una ingegnere, una insegnante elementare, una consigliera provinciale... Cinque di loro sono vicine all'Islam più fondamentalista, e ritengono sia già venuto il momento del passaggio di potere agli iracheni. Le altre, piu aperte, sulla transizione sono prudenti, come il Governatore. «La prossima conferenza la facciamo insieme a Bagdad», mi scappa dalle labbra nel salutarle: parole pronunciate un po' come una speranza. E un po' come una promessa, fatta a donne che vogliono guardare al futuro in un momento decisivo e fragilissimo per l'avvenire dell'Iraq.

Data: 
Lunedì, 22 March, 2004
Autore: 
Fonte: 
CORRIERE DELLA SERA
Stampa e regime: 
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