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"FORSE OGGI PIÙ VICINA ALL'ULIVO MA RIFIUTO I RICHIAMI DA TRIBÙ"

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L'INTERVISTA / L'esponente radicale: feci lo sciopero della sete e persi 7 denti, Amato e Ciampi mi difesero, non così Rutelli, D'Alema e Berlusconi
di Livia Michilli

ROMA - Per Emma Bonino è un weekend di super lavoro. Insieme a Marco Pannella e agli altri dirigenti del Partito radicale passa di riunione in riunione per preparare la Convenzione del 27 e 28 marzo, aperta ad esponenti di maggioranza e opposizione: «Vedremo che cosa accadrà, noi cercheremo di portare proposte unificanti». Dice che nel '94 si sentiva più vicina al centrodestra mentre oggi, «forse», starebbe più a suo agio nel centrosinistra. Ma rifiuta l'ingresso in una «tribù». L'importante, sostiene, è cominciare a dialogare e stabilire un percorso, poi «non è detto che ci debba essere uno sbocco elettorale». Senza mai trascurare le battaglie per i diritti umani e per le donne. Domani è giusto la festa della donna.
«L'8 marzo è un giorno dedicato all'umanità. Le mie battaglie per i diritti delle donne arabe e africane sono battaglie per l'emancipazione e la democratizzazione di tutta la società araba e africana. L'8 marzo è un'occasione per riflettere su come affrontare i grandi problemi dell'umanità a partire dai problemi delle donne. Basti pensare all'esperienza del Movimento di liberazione della donna attivo in Italia all'inizio degli anni 70: fu l'unico movimento organizzato che combattè per il divorzio, la liberazione sessuale e contro l'aborto clandestino e così facendo combattè per l'emancipazione della società intera».
Lei si batte per l'integrità della donna nel mondo arabo. Ma ci sono battaglie ancora da vincere nel mondo occidentale?
«Certamente, penso a Paesi in cui la tradizione controriformista cattolica costringe alla piaga dell'aborto clandestino. Poi ci sono le battaglie per garantire pari condizioni e opportunità di lavoro: in Italia ci sono poche donne in Parlamento, poche o forse nessuna direttrice di quotidiano o presidente di banche e istituti finanziari. Insomma, nel Paese un numero esiguo di donne ricopre ruoli di responsabilità».
Però non è d'accordo con la politica delle «quote rosa».
«Le quote per legge sono una scorciatoia che trovo illiberale. Immagino che nessuno voglia stabilire quote nei giornali o nelle banche, quindi lo stesso deve valere in politica. Vorrei ricordare a tutti l'esperienza disastrosa del 1994, quando furono introdotte le "liste a zebra", con un uomo e una donna alternati. La legge fu giudicata incostituzionale e i partiti trovarono comunque il modo di aggirarla ricorrendo a dei prestanome. Fatta la legge, trovato l'inganno... Il problema vero è la struttura di potere strettamente maschile all'interno dei partiti».
Le piace la proposta del segretario dei Ds Piero Fassino, candidare il 50% di donne alle Europee?
«Sì, se è un'iniziativa politica seria. Voglio dire che mi auguro non mettano le donne in fondo alla lista. Comunque, mi ricorda un po' quello che facemmo noi radicali nel 1976: tutti i capilista erano donne».
Si può parlare di tutela dei diritti delle donne anche a proposito della fecondazione assistita?
«Con questa legge dissennata si proibisce definitivamente anche solo di conservare gli embrioni a fini di ricerca. Per la maggioranza dei legislatori italiani un insieme di cellule ancora indifferenziate conta di più delle speranza di vita e di cura di 10 milioni di persone che soffrono come Luca Coscioni».
Libertà di ricerca scientifica, rispetto della donna: nella politica italiana c'è sufficiente spazio per temi come questi?
«Alle scorse politiche i Radicali incentrarono tutta la campagna elettorale sulla libertà di ricerca scientifica. Io feci sei giorni di sciopero della sete che mi fecero perdere sette denti, eppure solo Amato e Ciampi spesero una parola. Tutti gli altri, Rutelli, D'Alema, Berlusconi, dissero che quello era un tema di coscienza e non di campagna elettorale. La verità è che di questi argomenti non si parla perché altrimenti gli schieramenti si spaccano».
Sono questi i temi che porterebbe al Parlamento europeo, se la lista Prodi avanzasse ufficialmente un'offerta di candidatura?
«La nostra idea è quella di un'Europa laica, tollerante, non violenta, federalista, democratica. Tutti fanno un gran parlare di democrazia, libertà e legalità, ma sono valori che spesso restano sulla carta. Guardi il caso dell'Italia: è il Paese più condannato per violazioni di diritti umani dalla Corte europea di Strasburgo. Se invece che di una nazione si trattasse di una persona, sarebbe definita un delinquente abituale».
La Convenzione del 27 e 28 marzo è aperta a entrambi gli schieramenti: su quali temi vi confronterete?
«Parleremo di moltissime cose. Tra le tante vorremmo proporre alcuni progetti per invertire quel processo di declino e marginalizzazione dell'Europa e dell'Onu che molti temono irreversibile».
La condizione per avviare il dialogo è l'accoglienza dell'intero «pacchetto» di istanze radicali?
«Noi abbiamo un progetto radicale ma non pretendo che anche gli altri siano radicali. Quando uno parla con un altro schieramento fa delle proposte e poi vede quali possono essere accettate. Io cerco di fare proposte unificanti: se a Sanaa siamo riusciti a mettere d'accordo governi e attori non governativi del Medioriente, perché mai non dovremmo ottenere risultati altrettanto straordinari anche in Europa?».
Molti nel centrosinistra vi chiedono di fare una netta scelta di campo: o con l'Ulivo o con la Casa delle Libertà.
«Credo che sarebbe più facile trovare delle convergenze se non ci si lasciasse andare a richiami "etnici" come ha fatto Francesco Rutelli mettendo come condizione l'adesione all'Ulivo. Io non ho chiesto di entrare in una tribù, una casa già ce l'ho e ci sto bene. Chiedo solo di discutere di iniziative puntuali e vedere dove ci portano».
Immaginate di poter raggiungere accordi con entrambi gli schieramenti, magari su temi diversi?
«Si può fare, l'abbiamo sempre fatto. Poi non è detto che ci debba essere uno sbocco elettorale, la cosa importante è cominciare a discutere e stabilire un percorso».
Davvero pensate di poter tenere aperti due canali?
«In teoria è possibile, ma è difficile che avvenga considerando com'è fatto lo schieramento politico nel nostro Paese».
Quindi alla fine dovrete per forza decidere: o di qua o di là.
«Questo problema devono porselo anche gli altri».
Ma lei si sentirebbe più a suo agio col centrodestra o col centrosinistra?
«In questi giorni forse col centrosinistra, ma nel 1994 mi sentivo molto più vicina al centrodestra. Non so come sarà fra qualche settimana, stiamo lavorando appunto per comprenderlo. Insomma, per noi non è un problema di richiamo "etnico", è una questione di obiettivi, iniziative puntuali comuni».

Data: 
Domenica, 7 March, 2004
Autore: 
Fonte: 
CORRIERE DELLA SERA
Stampa e regime: 
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