di Gianfranco Dell'Alba
Sotto l'egida prudente ma determinata della presidenza irlandese, in questi giorni fervono incontri e negoziati per superare lo stallo dell'ultimo vertice europeo di Bruxelles e giungere all'adozione del progetto di Costituzione europea prima dell'allargamento ai dieci nuovi paesi membri previsto il primo maggio prossimo, e soprattutto prima delle elezioni europee. A nessuno sfugge infatti che, con le prospettive finanziarie in alto mare, presentare agli elettori di 25 paesi membri un'Europa incapace di accordarsi persino sulle sue regole minime di funzionamento non sia proprio un bel biglietto da visita per i governi in carica e per la stessa Commissione europea.
Che succede però in queste trattative segrete in cui è sparito completamente quell'elemento di relativa trasparenza che viceversa aveva caratterizzato la fase precedente, a partire dai lavori della Convenzione europea? Succede che dall'apertura della conferenza intergovernativa sotto presidenza italiana in poi, ogni presunto "passo avanti" nel tentativo di giungere ad un compromesso globale si traduca in realtà in uno svuotamento progressivo delle già timide proposte della Convenzione in materia di estensione del voto a maggioranza, poteri del Parlamento, snellimento e trasparenza delle procedure decisionali, eccetera.
Noi radicali per la verità avevamo giudicato negativo anche il progetto così come varato dalla Convenzione presieduta da Valéry Giscard d'Estaing proprio perché non sufficientemente ambizioso da consentire un "prendere o lasciare" e destinato inevitabilmente, per aver voluto realizzare da subito troppi compromessi fra istanze diverse, ad essere "impallinato" da veti e controveti in molte sue parti, cosa che sta puntualmente avvenendo.
Il progetto di convenzione infatti, a dispetto delle professioni di europeismo delle varie delegazioni a partire proprio dall'Italia, tradiva su più fronti, dalla formulazione delle cittadinanza europea alla definizione della politica estera, all'identificazione chiara di "chi fa che cosa", lo spirito federalista originario dei paesi fondatori, optando per un rimaneggiamento che poco ha a che fare con una visione politica complessiva sul futuro dell'Europa allargata e ben più con il mero assemblaggio delle richieste disparate dei vari paesi.
Ed ecco che, arrivati al dunque, lontano dai riflettori della Convenzione o dei vertici, le diplomazie europee stanno smontando pezzo dopo pezzo la già fragile architettura istituzionale e politica partorita dalla Convenzione, forti dell'ardente obbligo politico di chiudere al più presto la partita. Via libera quindi all'estensione del numero dei commissari, al ritorno della regola dell'unanimità, ad un sistema di voto ponderato ?à la carte' per soddisfare spagnoli e polacchi, al ridimensionamento dei poteri del Pe ad esempio in materia di bilancio, alla rinuncia ad un ruolo forte per la Commissione europea.
Occorre opporsi in ogni modo ad un compromesso al ribasso che farebbe imboccare all'Europa una via senza ritorno, tutta intergovernativa e in definitiva tutta piegata su se stessa, dove non a caso emergerà sempre di più la tendenza al "direttorio", diametralmente speculare al fondamento stesso della costruzione europea. All'attuale illusione di poter imboccare "scorciatoie", evidente palliativo di un più profondo (e temuto) dibattito sulla costruzione europea, si deve contrapporre la proposta di un progetto federalista, sul modello del Trattato Spinelli approvato proprio vent'anni fa dal Parlamento europeo, che abbia il coraggio di affrontare tanto l'efficacia di una non facile architettura a 25 quanto il ruolo dell'Unione al suo interno che sullo scacchiere internazionale.