di MICHELE SALVATI
Paul Krugman ha anteposto alla raccolta dei suoi editoriali sul New York Times ( The Great Unraveling , Norton, 2003) una introduzione in cui sostiene che il movimento politico di destra radicale oggi al potere negli Stati Uniti - controlla la Casa Bianca, il Congresso, buona parte del sistema giudiziario e dei media - è un movimento rivoluzionario. Krugman usa questa espressione nello stesso senso in cui la usò Henry Kissinger nel suo primo lavoro importante, A World Restored del 1957, che trattava delle reazioni delle potenze europee alle politiche espansive della Francia di Napoleone: come un movimento che non accetta la legittimità dell'ordine costituito e si propone di mutarlo radicalmente. E, soprattutto, come un movimento che fa seguire alle parole i fatti: le parole che gli esponenti della destra radicale americana pronunciano - questa è la tesi che Krugman dimostra - vanno prese esattamente per quel che significano, come manifestazione di intenzioni e programmi che verranno effettivamente realizzati.
Dopo una rassegna di affermazioni radicali seguite da fatti radicali in alcuni campi significativi dell'ordine costituito (l'impiego bellico del potere egemonico degli Stati Uniti, il vecchio sistema di welfare e il suo effettivo smantellamento, l'eliminazione dell'imposizione fiscale sulla proprietà, i rapporti tra Stato e Chiese), Krugman cita un passaggio del libro di Kissinger che spiega la debolezza della reazione dei poteri tradizionali di fronte a un movimento rivoluzionario, un passaggio - dice così - che gli ha spedito un brivido lungo la schiena: «Assuefatti da un periodo di stabilità che sembrava permanente, essi (i poteri tradizionali) trovano impossibile prendere sul serio le affermazioni di un potere rivoluzionario...».
«I difensori dello status quo - prosegue Kissinger - sono portati a intenderle come se si trattasse di semplice tattica, come se l'ordine esistente in realtà non venisse minacciato, ma si esagerasse nell'attaccarlo verbalmente per scopi negoziali, per poi mettersi d'accordo...
Coloro i quali tali affermazioni prendono sul serio sono considerati degli allarmisti, mentre coloro che consigliano di adattarsi alle circostanze sono considerati come equilibrati e saggi.
Ma l'essenza di un potere rivoluzionario è che esso ha il coraggio delle proprie convinzioni, che intende sul serio condurle alle loro ultime conseguenze, anzi, che non vede l'ora di farlo».
Per Krugman la destra oggi al potere negli Stati Uniti è un movimento rivoluzionario, e dunque hanno ragione gli allarmisti e torto gli equilibrati e i saggi. Lo è anche il centrodestra italiano?
Lasciamo da parte le differenze di scala: un movimento rivoluzionario al potere nel Paese egemone può fare danni imparagonabili a quelli di un movimento analogo in un Paese periferico. Ma si tratta di un movimento analogo? Anche dagli editoriali di Krugman, come da tante altre fonti - si veda soprattutto la splendida sintesi storica di Kevin Phillips, Wealth and Democracy - una differenza emerge con chiarezza: coincidenze di interessi sospette, truffe e disonestà, ci sono anche negli Stati Uniti, come da noi; ciò che da noi manca del tutto è lo straordinario movimento ideologico (anzi, l'insieme di movimenti ideologici) che sta dietro la destra radicale americana.
Dozzine di think tanks nei campi più diversi, dalla politica estera a quella fiscale, dagli anti-evoluzionisti delle Chiese radicali ai libertari più fanatici in economia, si sono fusi nel sostegno di un potere politico che appoggia gli indirizzi estremi da loro predicati, indirizzi che danno forma a idee e umori da molto tempo diffusi in quel Paese.
Si tratta di ideologia, sostenuta in modo militante da migliaia di persone intelligenti, oneste e in buona fede. E quando l'ideologia è appoggiata dagli interessi le cose si fanno pericolose e un brivido lungo la schiena avverte del pericolo. E da noi? Da noi vedo, certo, interessi; di ideologia dura e pura ne vedo poca. E quel poco che vedo non è ideologia di destra radicale, ma spezzoni di liberismo vecchiotto e non di rado ragionevole, intrisi in un denso brodo democristiano.
Certo, ci sono le volgarità di Bossi e le gaffes del Cavaliere, se così vogliamo chiamarle. Se estendessero il loro appeal oltre i confini della Lega, le prime sarebbero preoccupanti perché, dietro di esse, c'è un'ideologia rozza ed endemica in Europa; le seconde preoccupano non tanto come espressione di un'ideologia autoctona, ma come adesione superficiale ad una ideologia altrui, e sto ovviamente pensando alle dichiarazioni di Berlusconi al New York Times . Riprendiamo allora la definizione di Kissinger sull'essenza di un movimento rivoluzionario, il coraggio delle proprie convinzioni e la volontà di metterle in pratica, sino alle conseguenze estreme: c'è qualcuno che vede segni di questo movimento «rivoluzionario» nel centrodestra italiano? Sicuramente gli allarmisti nostrani obietteranno che la pura difesa dei propri interessi, il «coraggio» di anteporli al comune senso del pudore, non sono belle cose e ne convengo.
Ma non a caso Kissinger parla di convinzioni e non di interessi.
Interessi non accompagnati da convinzioni radicali possono suscitare sensazioni sgradevoli, ma non scatenano un brivido di pericolo lungo la schiena: denunciarli, combatterli, è il normale gioco della democrazia.