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A Pannella quel che è di Pannella

Testo: 

di Paolo Pillitteri

Non si fa mai abbastanza attenzione alle conseguenze, al post, a quello che accade dopo il day after. Parliamo degli esiti più veri di un'azione, di una scelta. Di una guerra, infine. Bush e Blair, insieme agli alleati (pochini, in verità) avevano chiarito fin dall'inizio e oltre al fatto delle armi chimiche - adesso, che non ci siano più, parrebbe un elemento secondario, e infatti lo è - che la guerra con la sconfitta di Saddam, la ricostruzione di un Iraq diverso, la fattibilità d'un progetto "democratico" in una zona a fortissima densità fondamentalista/ autoritaria, l'inizio della sconfitta del terrorismo a sfondo religioso, la ripresa del processo di pace (road map) in Medio Oriente, ebbene, tutto questo avrebbe significato il vero, più autentico spirito di pace vera, possibile, stabile e duratura. Enduring freedom, certo, ma anche enduring peace, dall'Afghanistan all'Iraq. E chi l'avrebbe detto, fra i pacifisti d'accatto e quelli regressivi all'infanzia prepolitica, per non avere il coraggio di scegliere, di guardare in faccia ai problemi. O, come Chirac, per difendere antichi privilegi dietro i colori di un arcobaleno non disinteressato. Chi l'avrebbe detto che Bush, così restio ad occuparsi di Israele e Palestina, avrebbe costretto gli eterni duellanti ad incontrarsi?
E, ancora, chi l'avrebbe detto che Sharon, sì, proprio lui, il soldataccio tutto d'un pezzo, avrebbe visto Abu Mazen, guardandosi entrambi in un lungo faccia a faccia alla ricerca della pace possibile. Cioè non più impossibile? Già, chi l'avrebbe detto? Marco Pannella è uno dei pochi leader europei (ma lui, forse, amerebbe definirsi transnazionale) che ha mantenuto sempre la barra a dritta, che ha creduto in un realistico processo democratico in Medio Oriente, che ha salutato con parole giuste la guerra in Iraq, che ne ha intravisto i possibili esiti positivi verso una pace nella democrazia e nella libertà. Che, soprattutto, ha rilanciato, sull'onda della non impossibile via, della ormai avviata road map, la grande idea di Israele dentro l'Europa, della Nazione fondata e difesa da Ben Gurion e da Golda Meyer, da Dayan, Rabin e Ariel Sharon cooptata a pieno titolo nella Ue. Anche allora, quando Pannella lanciò questo che più che un processo sembrava un sogno, qualcuno parlò di utopia, di immaginazione al potere, di forzatura del tempo storico e dello spazio geografico. Essendo Israele l'unico paese democratico, libero, parlamentare in un'area fondamentalista, illiberale, antidemocratica. Invece, e come sempre, le grandi intuizioni sono frutto di grandi verità, coincidono col tempo, con la storia, con lo spazio perché sono un incrocio fra l'ideale e il reale, fra il cuore e la mente, fra il possibile e il coraggio.
Il recente viaggio in Israele di Pannella e dei radicali ha ulteriormente messo coi piedi per terra questo geniale percorso, pur nella consapevolezza che le difficoltà non diminuiranno, nemmeno e soprattutto nel nostro Continente, dove troppe volte la voce d'Israele, la voce della cultura da cui discendiamo, della storia da cui abbiamo avuto inizio, della tradizione che determina l'Occidente, è stata silenziata, preferendole la faciloneria e la sommarietà di altre voci in cui spesso si fondevano e confondevano gli scoppi delle bombe, le urla dei kamikaze, le pietre di una Intifada (odio) senza fine. Cui, solo la dimensione democratica può dare soluzioni durature. All'ordine del giorno di un'Europa che non deve rinunciare alle sue radici, checché ne pensino e ne scrivano alcuni costituenti, è stata messa la questione delle questioni, quella di Israele.
Anche per questo, diamo a Marco quello che è di Marco.

Data: 
Sabato, 31 May, 2003
Autore: 
Fonte: 
L´OPINIONE
Stampa e regime: 
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