FALLIMENTI. È ORA DI CAMBIARE IL MAGGIORITARIO ALL'ITALIANA
La Seconda Repubblica sta affondando. La difesa arrogante di Cesare Previti proclamata dal presidente del Consiglio indica il finale di partita. Il semestre italiano - contrassegnato dalla messa in mora di Berlusconi per ragioni giudiziarie, a cui la destra risponderà con il tentativo di infangare Romano Prodi - illuminerà il nostro tragico destino. Questo nuovo sistema politico nato da uno stato di necessità - la crisi dei partiti sotto i colpi di Mani pulite - ha generato un prodotto artificiale.
Il maggioritario all'italiana non ha creato un nuovo clima nel paese, ha lasciato marcire i conflitti istituzionali, ha fallito sul terreno del riconoscimento reciproco fra i due schieramenti. L'unico merito è quello di aver fatto fare passi da gigante alla logica bipolare. Tuttavia il sistema dell'alternanza deve di più al crollo del Muro di Berlino e alla fine del fattore K che alle ingegnerie elettorali.
La Prima Repubblica, a parte il finale d'opera, è stata una esperienza democratica gigantesca. La Seconda Repubblica rischia di essere una tragica farsa. Il compito che è davanti a noi è quello di consegnare alla storia e alla memoria la Prima Repubblica, ma anche di chiudere contemporaneamente con i veleni della Seconda e la sua guerra civile strisciante, imposta dal vizio d'origine giustizialista e dalla cultura di una nuova destra a cui è estraneo il senso dello stato.
Non ci sarà campagna elettorale e rovesciamento per via elettorale di maggioranze che salverà un sistema politico nuovamente bloccato. Una delle colpe più gravi della Seconda Repubblica è quella di non aver prodotto una classe dirigente all'altezza dei tempi. Lo stesso sistema elettorale, fondato sul primato dei collegi rispetto ai partiti e alle coalizioni di partiti, dà un contrassegno personalistico alla battaglia politica che ci fa arretrare ai primi anni del Novecento.
Il pericolo è un cedimento del tessuto connettivo del paese, una perdita di quelle virtù della Repubblica che ci hanno consentito non solo di diventare un grande paese moderno (malgrado arretratezze e ingiustizie), ma anche di superare prove straordinarie come il terrorismo e la guerra di mafia che culminò con gli assassinii di Falcone e Borsellino.
Nasce da qui l'esigenza di un Grande Cambio, di una nuova agenda politica che metta al centro una vera rivoluzione di sistema. L'obiettivo deve essere quello di ricostruire nuovi modelli istituzionali e nuove forme di rappresentanza politica che diano vita ad una Terza repubblica stabile. Una nuova stagione dell'Italia democratica che porti alla guida del paese una nuova generazione, che lasci ai nostalgici di tutte le guerre fredde gli arnesi dello scontro frontale e che apra una stagione culturale, a sinistra come a destra, che faccia i conti con il superamento delle culture del Novecento.
Un nuovo sistema politico non può non avere al centro il tema della ricostruzione dei partiti. Partiti riformati, dai confini più estesi e meno presidiati dalle ideologie, ma partiti veri. La logica della coalizione, che è una delle poche cose positive della Seconda Repubblica, deve trasformarsi in qualcosa d'altro. Innanzitutto deve sopravvivere come idea di alleanze e come mantenimento della logica dell'alternanza. Tutto il contrario del sogno neo-democristiano di un nuovo grande centro indifferente agli schieramenti.
Servono coalizioni di centrodestra e coalizioni di centrosinistra che si sfidano e si propongano di sostituirsi alla guida del paese. In queste coalizioni tuttavia l'asse ricostruttivo va individuato nel superamento del vecchio schema del partito di sinistra ossessionato dalla sua unità interna a cui fanno da contrappunto un'area di centro concorrente con la sinistra e aree radicali che mobilitano lo scontento del popolo di sinistra per dare la propria impronta alle singole formazioni e poi alla coalizione.
Un'Alleanza per l'Italia (o partito democratico o chiamatelo come diavolo volete) deve lavorare per rendere sempre più efficace la combinazione di cultura fra i diversi riformismi, fino a farli diventare patrimonio di una formazione politica plurale ma unitaria. Dall'altro lato la posizione radicale e antagonista va sfidata sui contenuti accettando l'idea che si faccia partito, anch'esso plurale ma distinto dai riformisti.
E' una proposta unitaria, altro che spinta alla scissione. E' l'idea di una breve stagione di battaglia culturale che punta a riaggregare e a rendere possibili, nelle forme consegnate dalla necessità storica, nuove alleanze fra le varie anime e culture del centrosinistra. In questo quadro è centrale la ricollocazione del sindacato. La fine di questa stagione repubblicana fa tramontare sia l'idea unitaria su cui si sono cimentati Di Vittorio e Lama sia il neo-sindacalismo di Cofferati. Esiste il terreno per una nuova specializzazione del sindacato che nulla tolga alla sua nuova vocazione politica, ma che la spinga a rappresentare la modernità del lavoro, dei lavori, e dei non lavori.
Il Grande Cambio allude a un diverso sistema istituzionale e a un modello che corregga il maggioritario all'italiana. Il modello tedesco contiene in sé la logica dell'alternanza, quella della coalizione, il tema della rinascita di partiti veri, lo sbarramento alla proliferazione di piccole formazioni.
In questo quadro la sfida di un cambio generazionale - come scriveva questo giornale - dev'essere il segnale di apertura verso quell'Italia che non ha vissuto la Prima Repubblica e si sente estranea alla Seconda. Se diamo una chanche a questo mondo, faremo del bene. Ai leader attuali dobbiamo chiedere non di fare un passo indietro, ma di favorire questo disegno.