di Vittorio Pezzuto
"Nessuno tocchi Caino" - la lega internazionale di parlamentari e di cittadini che dal 1993 si batte per l'abolizione della pena di morte in tutto il mondo - pubblica ogni anno il più completo rapporto sulle esecuzioni capitali comminate in tutti i continenti. Purtroppo, a ogni edizione, Cuba compare tra i Paesi che adottano ancora la vendetta di Stato come strumento di giustizia. Il Codice Penale vigente nell'isola prevede infatti la fucilazione in 112 casi, di cui 33 per reati comuni.
Tra gli altri, sono passibili di condanna a morte i reati contro la sicurezza interna ed esterna dello Stato, i crimini contro la pace e le leggi internazionali, gli atti contro la sicurezza dello Stato (come la violazione del territorio cubano da parte dei membri di un equipaggio aereo o navale), i crimini contro lo sviluppo normale delle relazioni sessuali e contro la famiglia, l'infanzia o la gioventù (per esempio, la violenza carnale sui minori di 12 anni o che abbia come risultato malattie o ferite; la pederastia con violenza su vittime inferiori ai 14 anni). La pena di morte è stata applicata a Cuba sin dalla rivoluzione del 1959, quando i castristi hanno processato e giustiziato centinaia di sostenitori dell'ex dittatore Fulgencio Batista. Diffusamente praticata negli anni Sessanta e Settanta, essa negli ultimi vent'anni è stata comminata raramente e solo per casi di terrorismo, ribellione armata e assassinii particolarmente orribili.
Le esecuzioni di più alto rilievo sono avvenute nel 1992, quando due uomini sono finiti davanti al plotone d'esecuzione per l'uccisione di quattro poliziotti in un fallito tentativo di fuga dall'isola Tarara, situata pochi chilometri a est de L'Avana.
Lo stesso anno un esule cubano esule a Miami, Eduardo Diaz Betancourt, è stato giustiziato per aver pianificato sabotaggi e attacchi terroristici nell'isola. Ma l'esecuzione forse più famosa a Cuba resta quella del generale Arnaldo Ochoa Sanchez - eroe della rivoluzione - e di altri tre ufficiali, fucilati nel 1989 dopo essere stati condannati da un tribunale militare per reati di droga e corruzione.
Nel febbraio 1999 una riforma del Codice Penale ha adottato la condanna a vita e ha allargato l'applicazione della pena di morte ai reati di traffico di droga (qualora vi siano circostanze aggravanti), attentati o corruzione di minori. Secondo la legge cubana, le persone di età inferiore ai vent'anni e le donne incinte non sono passibili della pena capitale. Dalle poche informazioni che riescono a filtrare attraverso le rigide maglie della censura cubana, risulta che siano attualmente una cinquantina i condannati che attendono l'esecuzione e la Commissione cubana per i Diritti umani e la Riconciliazione nazionale - gruppo illegale di opposizione interna presieduto da Elizardo Sanchez - ha definito "subumane" le condizioni di vita nei bracci della morte.
Un precedente rapporto della Commissione riferiva che nel 1999 sarebbero state giustiziate 20-30 persone, una delle più alte percentuali al mondo in rapporto alla popolazione: due volte più della Cina e cinque volte più degli Stati Uniti.
Eppure le autorità del regime castrista sostengono che la pena di morte è una "misura eccezionale applicata in caso di crimini particolarmente efferati" e che non sarà eliminata fintanto che Cuba resta obiettivo dell'aggressione Usa.
Elisabetta Zamparutti, membro del direttivo di "Nessuno tocchi Caino", ha fatto parte della delegazione parlamentare italiana che nel 1999 si è recata a Cuba per chiedere al governo castrista un voto favorevole alla risoluzione per la moratoria delle esecuzioni capitali, posta ogni anno in votazione dalla Commissione diritti umani dell'Onu (a Ginevra il regime castrista si è sempre astenuto sul testo).
"Nell'occasione presentammo un dossier molto accurato sulle esecuzioni avvenute nell'isola, composto di notizie pubblicate da quotidiani e agenzie di stampa cubani. Notammo grande imbarazzo e reticenza da parte dei ministri degli Esteri e della Giustizia: con ogni evidenza il regime non vuole esporsi a critiche internazionali per l'alto numero delle esecuzioni comminate.
Proprio per questo da allora non una sola notizia al riguardo era trapelata sugli organi di stampa, facendo sperare in una moratoria di fatto delle fucilazioni. Ma la notizia della messa a morte dei tre dissidenti sta a dimostrare che queste continuano come prima.
Ecco perché riteniamo urgente una generale riflessione sul meccanismo di concessione degli aiuti economici all'isola da parte dell'Unione europea.
La politica di dialogo e di cooperazione con il regime di Fidel Castro va interrotta se non produce come contropartita un effettivo rispetto dei diritti civili e politici dei cittadini cubani".