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IL CORTEO DI ROMA - UN PACIFISMO NON DI PARTE

Testo: 

di GIANFRANCO PASQUINO

Sarebbe bello assistere a una manifestazione per la pace che non fosse guidata da un unico pensiero: l'anti-americanismo, oppure da due soli pensieri, anti-Usa e anti-Berlusconi, se il berlusconismo avesse una sua autonomia dagli Usa. Questa volta, un certo anti-americanismo ha pieno diritto di cittadinanza in una manifestazione per la pace che sia pluralista e variegata. Infatti, è doveroso criticare la politica Usa non soltanto nel suo unilateralismo un po' pasticcione e molto texano e nel suo semplicismo sui costi della guerra e sul futuro dell'Iraq, ma anche nelle sue impazienze e nelle sue intemperanze nei confronti degli alleati nella Nato e della vecchia Europa. Saggia, come dice Prodi, o poco adeguata, come sembra da molti segnali, a tracciare un percorso efficace, l'Europa sta cercando il nuovo: una soluzione senza guerra.
Vecchia, invece, è la soluzione della squadra di Bush: procedere da soli, con arroganza. In texano si direbbe «sparare dall'altezza del fianco», quasi senza estrarre la pistola. Assieme agli antiamericani, non beceri e non "viscerali", ma critici e motivati, sarebbe bello vedere coloro che sono preoccupati dalle condizioni del popolo iracheno e che si oppongono alla guerra anche perché, almeno in una prima fase, produrrebbe una tragedia umanitaria di incalcolabili proporzioni. Vorremmo anche vedere coloro che, pur opponendosi alla guerra, manifestano anzitutto contro il dittatore iracheno e che seguono e appoggiano il brillante suggerimento di Emma Bonino e Marco Pannella: un salvacondotto per il dittatore. Infatti, ed è sperabile che non vi sia nessuno fra i manifestanti che non lo sappia o lo abbia dimenticato, all'origine delle attuali, potenzialmente drammatiche tensioni non si trova il petrolio. Si trova l'esistenza di un dittatore sanguinario che affama i bambini iracheni e tortura e uccide gli oppositori, che usa i soldi ottenuti dalla vendita del petrolio non, come si era impegnato a fare, per cibo e medicine, ma per armamenti e per il suo personale tenore di vita; un dittatore che ha violato 16 o 17 risoluzioni dell'Onu e che, probabilmente, sta cercando di eludere anche l'ultima, quella n. 1.441 che gli impone di rivelare se possiede armi di distruzione di massa, magari acquistate e costruite con il denaro proveniente dalla vendita di contrabbando del suo petrolio.
Dunque, una benvenuta parola d'ordine del corteo pacifista potrebbe e dovrebbe essere «fuori Saddam dall'Iraq» ovvero «Iraq libero». Per la democrazia in Iraq bisognerà sicuramente aspettare, ma un grande programma di sviluppo sociale, a cominciare da investimenti nelle scuole, ed economico potrebbe/dovrebbe essere lanciato subito con i miliardi di dollari risparmiati per non avere combattuto una guerra.
Allora, "armati" di questa pluralità di parole d'ordine, i movimenti pacifisti dimostrerebbero di avere capito che una pace che mantenga al potere i dittatori non è mai sufficiente e certamente è insoddisfacente, anzi spesso è addirittura controproducente. L'unica pace degna di essere perseguita è quella che si accompagna alla libertà e alla giustizia sociale.

Data: 
Sabato, 15 February, 2003
Autore: 
Fonte: 
MESSAGGERO VENETO
Stampa e regime: 
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