«Io resto contrario». Ma in Parlamento cresce l'accordo per uno sconto di pena di due anni
ROMA - In serata si preoccupa di far sapere di «non aver cambiato parere» sull'indulto ma, stavolta, un passo in avanti lo ha fatto proprio lui, il Guardasigilli Roberto Castelli, che sembra essersi avvicinato alla linea tracciata venerdì scorso nel carcere milanese di San Vittore dal presidente della Camera. Così il ministro leghista, parafrasando Pier Ferdinando Casini, si è avventurato su un terreno che per il suo partito è un vero tabù: «Sull'indulto il Parlamento deve votare in tempi rapidi...Anche se vorrei che ci fosse un voto palese in modo che ognuno si assuma le responsabilità del caso». Tutto questo Castelli lo dice durante una visita nel carcere di Pordenone nel corso della quale mette in relazione un «voto in tempi rapidi» sull'indulto e il fatto che si sblocchino in Parlamento «le numerose leggi di riforma presentate dal governo».
Davanti ai cancelli, il ministro affronta con una battuta un gruppo di radicali che sosteneva il digiuno intrapreso da Sergio D'Elia, Daniele Capezzone e Rita Bernardini: «Non vi vedo particolarmente sofferenti, dovreste mangiare un po' meno». Ma poi l'apertura di Castelli sull'indulto genera tante e tali reazioni positive che alla fine è lui stesso a raffreddare gli animi. Alle parole di Castelli, infatti, vanno aggiunte quelle pronunciate dal capogruppo Ds, Luciano Violante che, pure con molti distinguo sulle modalità per varare un atto di clemenza, prevede una svolta a breve: «Credo che a gennaio delibereremo in un modo o nell'altro».
Ecco, a un mese dall'appello del Santo Padre a favore di un atto di clemenza per i detenuti, qualcosa si muove. In realtà, di vero indulto (condono della pena o parte della pena) non si parla perché la maggioranza dei due terzi è irraggiungibile senza la Lega e An. E lo stesso vale per l'amnistia (cancella il reato) alla quale si oppongono anche Ds e Margherita ma non Forza Italia e Castelli («Però deve essere come quella di Togliatti, un atto politico»).
Rimane dunque l'«indultino» (sospensione condizionata della pena) incardinato nel testo Pisapia-Buemi che prevede di varare con una maggioranza semplice uno sconto di pena di tre anni per tutti i detenuti se, una volta usciti, riescono a rigare dritto per cinque anni.
Troppo per la Lega e per An. E troppo anche per i Ds e la Margherita che vorrebbero evitare una sorta di indulto mascherato. Così, il relatore Enrico Buemi (Sdi) porterà oggi in commissione Giustizia un nuovo testo che prevede molti paletti: lo sconto sarà di due anni; esce chi ha già scontato metà pena; obbligo di firma e di risiedere in un comune diverso da quello nel quale è stato compiuto il reato; esclusi i reati di mafia, terrorismo, omicidio, sequestro, traffico di stupefacenti. E Buemi azzarda che il testo potrebbe essere varato entro Natale in modo da consegnarlo alla conferenza dei capigruppo presieduta da Casini per farlo calendarizzare in Aula nella seconda metà di gennaio.
La sortita di Castelli fa ben sperare anche Giuliano Pisapia (Prc) che però non rinuncia a stuzzicare il ministro: «Varando una sorta di amnistia per i reati tributari per il governo diventa difficile opporsi all'indulto». E anche Violante non risparmia frecciate: «Il ministro Castelli non sa, non è la sua materia. Per altro non è una sua colpa, se mi facessero fare l'idraulico farei gli stessi disastri che lui fa nel campo della giustizia». E la risposta dell'ingegner Castelli non si fa attendere: «Sappia, Violante, che diventare ingegnere non è facile. Non è un titolo di second'ordine...Quando poi il presidente del suo stesso partito, D'Alema, non è neanche laureato».
Dino Martirano