di Gabriella Vesce
L'8 novembre 2000 Emilio Vesce, veniva colto da infarto del miocardio con conseguente anossia cerebrale - prolungatasi per più di un'ora e mezza - che ha provocato la distruzione completa delle cellule cerebrali dell'encefalo: stato vegetativo permanente, diagnosticato poi con certezza medico-strumentale il 14 novembre 2000. I miei figli ed io, siamo stati violentemente catapultati in una specie di "incubo kafkiano", che - per alcuni versi - ricorda la vicenda incredibile del 7 aprile '79: l'accanimento giudiziario a cui Emilio, e gli altri imputati del 7 aprile sono stati sottoposti, la difesa impossibile, i mandati di cattura a grappolo, la carcerazione preventiva senza fine, i pestaggi, le traduzioni in tutte le parti d'Italia, per più di 8 anni: dal 79 all'87, fin quando Emilio e molti altri coimputati sono stati assolti definitivamente, dopo una carcerazione preventiva durata più di cinque anni, compresi tre anni di carceri speciali - l'attuale 41 bis - e circa sei mesi di soggiorno obbligato a Pontedera.
Distruzione dell'identità, della dignità, dei diritti di questi imputati: mostri sbattuti in prima pagina: da parte di tutti i mass-media cartacei e non - eccezioni e perle rare: Rossana Rossanda, Carla Mosca e Silvana Mazzocchi - e di intellettuali di dx e di sn, delle più alte cariche dello stato (telegramma di congratulazioni pochi giorni dopo l'arresto, dell'allora Presidente Pertini al Dr. Pietro Calogero per aver "decapitato la direzione strategica delle Brigate Rosse") di politici, giudici, garantisti, giustizialisti, ecc.-). Vicenda quella del 7 aprile '79 che meriterebbe un ricordo e una ricostruzione più approfondita, che mi propongo di fare, perché credo sia importante non dimenticare. Importante, per Emilio e per noi per rendere onore e omaggio anche ad Adelaide, divenuta da allora, nostra cara indimenticabile amica - che assieme a Marco, e ai radicali, in quella terribile vicenda, ci sono stati vicini, e hanno dato voce alla "Barbarie della carcerazione preventiva", agli abusi e soprusi che questi imputati (più tantissimi altri anonimi) subivano, che ha segnato e purtroppo inaugurato non solo la figura dei cosiddetti "pentiti".
Carlo Fioroni, primo pentito premiato, ma anche il "Teorema giudiziario" indecente nuovo metodo di indagine della magistratura italiana. Amnesty International si è mobilitata, allora, e per gli anni successivi, l'Europa ha condannato l'Italia per violazione dei diritti umani in relazione alla carcerazione preventiva degli imputati del "Caso 7 Aprile", (alcuni imputati sono stati anche "adottati da Amnesty International"). L'8 novembre 2000, dicevo, siamo stati catapultati in un "incubo kafkiano", molto peggiore, del 7 aprile 1979. Dagli "appunti per un intervento" di Emiliano (giugno 2001): "Gli ultimi 7 mesi della mia vita hanno visto il coincidere di due aspetti: una triste vicenda personale, la morte differita di mio padre, e un'entrata in politica come candidato della Lista Bonino e come portavoce del dramma che la mia famiglia stava vivendo. La sfera pubblica e quella privata si sono unite dando un ritmo e un taglio particolare allo svolgersi degli eventi.
Non avevo chiaro sin dall'inizio come avrei affrontato la cosa, non sapevo che questo strano mix di elementi psicologici e aspetti politici avrebbe dato vita ad una efficace battaglia di civiltà. Dico efficace poiché sono convinto che (al di là del risultato elettorale), tutti i nostri sforzi abbiano realmente cambiato in meglio le cose. Hanno innanzi tutto cambiato il modo in cui noi abbiamo vissuto la tragedia, rendendoci pienamente consapevoli dei nostri diritti e di quelli di mio padre, dandoci il ruolo di soggetti di un possibile cambiamento. Il partito radicale, Marco, Marco, Olivier, David, Emma, e tutti gli altri ci sono stati vicino, come un pronto intervento per i diritti lesi, sono prontamente arrivati ci hanno appoggiato, e insieme abbiamo messo in parole una massa informe di rabbia, brutalità, impossibilità di fare e pensare ciò che si ritiene giusto, abbiamo costruito una battaglia.
Il nostro dramma privato è esploso, le nostre conoscenze, i nostri pensieri sono diventati patrimonio comune; e ancora? non so se, in relazione al particolare momento elettorale, si possa parlare di strumentalizzazioni - buone o cattive. Sicuramente ritengo che bisogna concentrarsi sul fine, sull'obbiettivo che ci si prefigge nell'utilizzo di un dato strumento. In questo caso lo strumento è il corpo di mio padre unito nel dramma a quello mio di mio fratello, di mia madre. Da una parte ci sono le ragioni di una battaglia civile, le ragioni che rendono un corpo (senz'anima) e quotidianamente violato, strumento di conoscenza e fattore di un possibile miglioramento del reale. Lo strumento attraverso il quale la vita e la morte possano essere ripensate individualmente prima, collettivamente poi; lo strumento attraverso il quale venga data ad ognuno la possibilità di decidere di se stesso e della propria vita. Uno strumento di libertà. Dall'altra parte uno strumento che svuota, che rende vane le fatiche e le sofferenze, che banalizza un desiderio di cambiamento. Uno strumento che decreta la tua impotenza di fronte alla sofferenza, e che denobilita i tuoi sforzi".
Completamente assorbita dalla gestione di questa abnorme folle situazione, un grande aiuto mi è venuto dai miei figli: Auri, come un guerriero al mio fianco, nel difendere la dignità e gli ideali del padre, nel proteggermi e difendermi, da tante incredibili umiliazioni, incomprensioni, attacchi, offese, venuteci da istituzioni e persone, che avrebbero dovuto aiutarci, avrebbero dovuto informarci correttamente, per capire, per elaborare, per decidere, per il rispetto dei diritti di Emilio! Come sono riuscita - mi chiedo ancora - a sopportare tanta atrocità? Grazie ai miei figli, ai radicali, a Exit Italia umanamente e politicamente fondamentali, - ma, assolutamente vitali e indispensabili per me, - sono stati i familiari delle persone in Svp, che mi hanno salvato dalla follia, e che voglio qui pubblicamente ringraziare: Bruna, Alessandra, Davide, Franca, Luciana, Maria Teresa, Gilda, Anna,? e Paola; e ancora le mie sorelle, i miei parenti, e tutte le mie amiche e compagne e tutti i nostri amici che non posso qui nominare, perché l'elenco sarebbe lunghissimo, ma anche persone allora sconosciute che ci hanno avvicinato per esprimerci la loro solidarietà ed affetto, e alcuni giornalisti rispettosi del nostro dolore.