E' stato respinto il ricorso presentato da una vedova madre di tre figli.
TRIESTE - Gli incentivi alla natalità subordinati all'esistenza di un'unione di tipo matrimoniale non è illegittimo. Lo ha stabilito il Tar del Friuli Venezia Giulia, bocciando un ricorso avanzato contro il diniego del contributo, diniego motivato dall'assenza di una famiglia "regolare".
La sentenza, pronunciata il 31 dicembre dello scorso anno, e depositata negli scorsi giorni, segna un importante punto a favore della legge su "Promozione e valorizzazione della famiglia, finanziamenti della spesa sanitaria e politiche sociali", voluta da Lega Nord. L'articolo 3, che prevedeva la concessione di assegni legati al numero dei figli "ai nuclei familiari ove almeno uno dei coniugi sia cittadino italiano, residente da almeno dodici mesi", era stato al centro di un vivacissimo dibattito, che aveva visto su posizioni critiche anche parte degli esponenti della maggioranza, alcuni dei quali avevano lasciato l'aula al momento del voto (verificando peraltro che i presenti in aula bastassero a garantire l'approvazione).
Al centro della disputa, il fatto che veniva limitato il diritto di scelta dei cittadini sull'unione legale o meno, ma anche penalizzato, attraverso la mancata assegnazione del contributo, qualsiasi minore incolpevolmente nato in situazione extramatrimoniale. Inoltre la formulazione della norma, avevano osservato le opposizioni, era tale da determinare tutta una serie di possibili casi abnormi, incluso quello di una vedovanza intervenuta poco prima della nascita del figlio, condizione che faceva decadere il diritto al sostegno.
Entrata in vigore la legge, nell'aprile del 2001 era partito un ricorso alla magistratura amministrativa, sostenuto economicamente dal gruppo dei Ds, e patrocinato dall'avvocato Gianfranco Carbone, già vicepresidente della giunta. A presentarlo, contro il Comune di Cervignano, attore formale del rifiuto, e contro l'amministrazione regionale, la signora Linda Agata Francescut, madre di due figli di sei e otto anni, e di un terzo venuto al mondo durante le more di una causa di divorzio, regolarmente riconosciuto dal padre, ma non dalla legge per la promozione della famiglia. La donna si era rivolta anche, per lettera, all'allora presidente Roberto Antonione, senza però ottenere risposta. Le tesi sostenute nella causa riguardavano da un lato la lesione dei diritti civili, dall'altro l'irrilevanza rispetto al fine dichiarato della legge, ovvero l'aumento demografico. Il Tar non ha trovato nulla da eccepire sulla discriminazione tra madre coniugata o meno. La norma è dichiaratamente centrata sulla famiglia - ha affermato il collegio giudicante, presieduto dal dottor Vincenzo Sammarco - dunque persegue il fine di un incremento della natalità solo all'interno del vincolo coniugale.
Luciano Santin