E' finita con Berlusconi che fa il Ronconi e difende la satira, e con Ronconi che fa il Berlusconi e censura la satira. Il potente ha infatti invitato l'artista a mettere sulla scena di Siracusa le caricature contro i potenti, e l'artista ha deciso di smetterle , perché «in fondo non c'è stata censura». Entrambi sanno che l'assenza di quelle gigantografie di Berlusconi, di Fini, di Bossi e di La Russa dal teatro di Siracusa sarà ora più pungente della loro presenza, perché lì c'è un'orma gigantesca e tutti andranno a vedere quel che non si vede. Ma se il finale è scontato, ci rimane lo spasso del dibattito, in quel salotto-palude di Siracusa, tra il sottosegretario Miccichè e il grande regista Ronconi, tra il sottopanza istituzionale e la sentinella dell'essere. Miccichè gracidava la protesta minacciando una censura, e il genio malinconico recitava di non sapere l'identità di quel catone maldestro ancorché sottosegretario all'aoristo. «E' Miccichè, è Miccichè» gli sussurravano. Ma Ronconi affettava: «Micci chi?». E l'altro miccicava : «Lei offende chi le dà i soldi, sputa nel piatto dove mangia, morde la mano che la nutre». Finché, accusandolo di ingratitudine, Miccichè se ne andava, con un'uscita di scena che preparava la scena al maestro di scena, il quale subito si impadroniva del copione.
Non c'è infatti artista italiano, vero o falso, grande o piccolo, ispirato o disperato che sia, il quale non cerchi o non sogni una splendida minaccia di censura da Berlusconi.
La censura è la spezia del proibito, può trasformare Fiorello in Oscar Wilde, può convincere Luttazzi d'essere un fiore del male, può illudere Santoro di reincarnare Lenin. Solo Berlusconi poteva fare di Aristofane un moderno girotondista, e di Ronconi un Marinetti a Siracusa, uno di quei futuristi che volevano seppellire «il teatro antico, ombre di tempi che non hanno più nulla da comunicarci», sostituendolo «con il pugno nello stomaco» dell'attualità, con il «ribollimento archeologico, il fischiare e l'infischiarsene». Grazie a Micciché, inconsapevole Aristofane, Le Rane hanno smesso d'essere archeologia passatista, e il teatro greco ha abbattuto le sue invisibili pareti ed è dilagato nella società, in casa del prefetto, nelle televisioni, negli umori degli italiani, persino nelle chiacchiere da bar, tra «Baggio sì, Baggio no».
E' un successo strepitoso, è una genialità artistica dell'accoppiata vincente Berlusconi-Ronconi, che hanno mutato Le Rane in buoi, le hanno fatte gonfiare e scoppiare di ridicolo, poltiglia di comicità stucchevole, commedia sui prefetti zelanti, i sottosegretari indignati e gli artisti feriti, con la ministra frastornata e il commentatore avvelenato. Hanno dato ai fantasmi il corpo della polemica italiana, e alle ombre la sostanza del nostro ridicolo presente.
Ormai gli italiani sanno che non c'è caricatura, lazzo, fraseggio e gioco di parole che non spinga lo stesso Berlusconi o, ancora peggio, qualcuno dei suoi, al rimbrotto, alla paternale, alla minaccia di censura, ora contro Santoro e Biagi e ora contro Ronconi. Berlusconi e i suoi hanno il complesso dell'impiccato: appena vedono una corda si toccano il collo. Ne seguono invettive, sarcasmi, scandali e talvolta vere e proprie maledizioni che si concludono sempre con la pratica purificatoria del comunicato di Berlusconi medesimo contro la censura, a favore della libertà dell'arte, e magari anche con l'elogio di Aristofane, di Plauto e di Molière, commissionato per l'occasione. E ovviamente l'artista si contenta: deve a Berlusconi il suo successo. Ronconi è riuscito a far sapere che è a Siracusa, anche se dovrà condividere la sua rinnovata notorietà con il signor «Micci chi?», il quale potrebbe forse rifarsi con uno stage alle Iene o meglio ancora tra i tapiri di Striscia la notizia.
Andando avanti così, in poco tempo non esisterà spettacolo che non preveda di stuzzicare la permalosità di Berlusconi, il quale è forse destinato a diventare quel che nel teatro, non solo aristofaneo, è «un tipo», una maschera fissa della commedia. E dunque un giorno tra le statuette di gesso o di cera sulle bancarelle di Porta Portese, tra i grandi classici di pronta riconoscibilità, accanto al militare borioso, al falso sapiente e al servo impiccione forse ci sarà pure il Berlusconi, il potente disprezzato ma non temuto.
Francesco Merlo