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Radicali transnazionali, Panella corre a salvarli

Testo: 

di Gianni Marsilli

Si sono appena incrociati. Lei - Emma Bonino - era venuta dal Cairo dove adesso vive e studia. Era qui al congresso dei radicali transnazionali fin dal primo minuto e ieri pomeriggio, dopo esser intervenuta una seconda volta alla tribuna, è partita per Londra, dove aveva un altro impegno. Lui - Marco Pannella - ha invece temporeggiato. Giovedì e venerdì il congresso se l'è ascoltato su Radio Radicale e appena ieri ha deciso di venirci di persona. Lei, poco prima che lui arrivasse, l'aveva chiamato davanti a tutta la platea «il grande assente». Con affetto, beninteso, ma non ci voleva troppa malizia per leggervi anche un rimprovero politico. Lui, replicando una volta che lei era partita, ha introdotto un dubbio esistenziale: «Emma ha parlato di grande assente. Ma chi non c'è, è necessariamente assente? E chi è presente, è necessariamente presente?».
Lei aveva fatto una proposta al congresso: che a coordinare il partito per i prossimi mesi, fino alla prossima tappa congressuale, fosse Marco Pannella, anche se gli aveva detto: «Marco, penso proprio che ti sei perso qualcosa!», riferendosi al suo prolungato «vengo, non vengo». Aveva detto Emma Bonino: «Non è una mozione degli affetti. È una proposta politica».
Lui qualche ora dopo ha risposto di andarci piano (non ci viene un altro termine per riassumere un'ora e mezza di intervento): che il congresso decida che cosa si debba coordinare, che imprima le stimmate statutarie alle sue scelte, e poi lui valuterà il da farsi, quale tipo di contributo fornire.
A noi è sembrata di capire la cosa seguente. Che tra le due personalità più di spicco del partito vi fosse qualche scintilla e un po'di nervosismo. E che Emma Bonino ad un certo punto abbia invitato Marco Pannella ad assumersi, in qualche modo, le sue responsabilità di padre di questa creatura, da lui voluta.
Creatura che, era stata la Bonino a dirlo alla tribuna, «credo sia necessaria ma non sono sicura che sia possibile». Questione di strutture e finanziamenti, e forse (questo lo aggiungiamo noi) di una certa indeterminatezza politica. Essendo la Bonino l'unica dei due ad aver esercitato responsabilità di governo, è probabilmente la più sensibile alla fattibilità degli slanci ideali, per quanto generosi essi possano essere. Ci è sembrato anche di capire che Marco Pannella, forte di decenni di trappole congressuali, rifiutasse questo «cadeau empoisonné», questa polpettina vagamente avvelenata. O che comunque volesse vederci più chiaro, in termini di obiettivi e di poteri.
Ma forse la nostra chiave di lettura delle vicende congressuali dei radicali è troppo intrisa di quella «politica da pollaio» della quale ci ha gratificato l'acceso intervento di un delegato, dedicato all'Unità e all'articolo apparso ieri su queste colonne. Lo stesso Pannella non ci ha risparmiato nulla, tanto che ci è venuto il dubbio che a smuoverlo da Roma sia stata la lettura mattutina di questo giornale. In quell'articolo si riportava la frase di un delegato che ci aveva parlato sconsolato del rischio che il partito fosse «agli sgoccioli», senz'altro finanziari ma anche politici. Non è stata difficile la replica di Pannella: «Sono trentasei anni che mi dicono che sono agli sgoccioli». Non gli era piaciuta neanche la franchezza di Emma Bonino, che aveva espresso i suoi dubbi sulla vivibilità del partito, franchezza che sarebbe servita da pretesto per le cronache «fantasiose» di questo giornale.
Insomma grazie all'Unità Marco Pannella ha trovato un totem polemico che gli è servito da filo conduttore di tutto il suo intervento, come ai bei tempi. Ha parlato dell'eutanasia, dei montagnards, dei vietnamiti, dei curdi e naturalmente dei media che o sono assenti oppure, quando ci sono, scrivono «cazzate». Ha citato Franz Fanon, Ernesto Rossi, Jean Paul Sartre, Gandhi. All'Italia ha dedicato qualche inciso, per denunciarne la trimurti politico-culturale: l'Italia dei «comunisti, cattolici e fascisti». Ha provocato la platea, in vista del suo futuro ruolo possibile: «Mi manca una cosa nella mia lunga e sperienza: di andare in minoranza in un congresso». Ha insistito: «Emma dice che il partito è necessario ma non sa se è possibile, e l'Unità sgocciola». Applausi, e qualche occhio perplesso tra i ceceni e i tibetani, poco avvezzi a simili riferimenti. Decisamente, l'Italia è lontana nell'orizzonte pannelliano, sfumata, irrimediabilmente scomparsa nelle nebbie della «partitocrazia» imperante.
Era stata la Bonino a parlare di questo partito transnazionale come di «uno strumento fragile, anche perché così fuori dagli schemi: non c'è un Fassino che parli, non c'è un Rutelli che si lamenti, non c'è un Di Pietro che risponda, e non c'è neanche un conflitto d'interessi: e allora di cosa parliamo?». Per dire che i temi sul tavolo sono di ben altra tempra e dimensione: l'estinzione dei tibetani, le lotte dei curdi, le donne afgane. Il partito è decisamente pro-israeliano, anche se qualche voce si è sentita nel corso del dibattito per ricordare l'esistenza e il dolore dei palestinesi.
La Bonino ha fatto una proposta: che al prossimo congresso vengano «venti o trenta amici arabi, si sentirebbero meno soli e meno eccentrici». Per il resto,in assenza di un progetto con tempi e scadenze, il partito può solo chiudere, per mancanza di energie che non siano quelle dei radicali italiani. Pane al pane e vino al vino, verrebbe da dire. Denunciare, e magari enfatizzare, per poter ricostruire. Ma guai ai media che lo riportano.

Data: 
Sabato, 6 April, 2002
Autore: 
Fonte: 
L´UNITA´
Stampa e regime: 
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