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EUTANASIA. Sirchia: mai. Radicali: ipocrita

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Polemiche dopo l'approvazione della legge da parte dell'Olanda

Roma - «Sull'eutanasia il mio è un no secco, senza ripensamenti». Lo ha affermato in un'intervista a La Stampa il ministro della Salute Girolamo Sirchia, dopo la decisione dell'Olanda di legalizzare la "dolce morte". Secondo Sirchia «in determinate condizioni di può chiedere al medico di non insistere nelle terapie, ma non di trasformarsi in carnefice». Il ministro allude al modello Usa («l'unico che funziona») che prevede il consenso individuale del paziente alle terapie. «C'è un abisso - spiega - tra il rifiuto dell'accanimento terapeutico e il "via libera" alla morte. Si può ammettere il diritto a interrompere le cure, non quello di farsi uccidere».

Favorevole il giudizio sul "sì" olandese all'eutanasia del presidente dei radicali, Luca Coscioni, che definisce la legge olandese «un decisivo passo in avanti». Riferendosi alle dichiarazioni del ministro per le Politiche comunitarie, Buttiglione, Coscioni le definisce «disumane e profondamente lontane dagli insegnamenti del Vangelo». Coscioni rileva che «per Buttiglione un malato terminale ha il diritto di spararsi un colpo in testa, ma non quello di scegliere la dolce morte per mettere fine alle proprie sofferenze».
L'attacco radicale continua con Silvio Viale, medico membro di Exit-Italia e presidente dell'Associazione Radicale Adelaide Aglietta: «Sirchia è un ipocrita: non vuole vedere come nella giungla delle sofferenze della realtà italiana si stia diffondendo la "cattiva eutanasia", poiché la sospensione "passiva" delle cure implica spesso una "cattiva morte", ancorché anticipata». Quindi il presidente della Federazione dei medici, Del Barone, «apra al più presto la discussione tra i medici. Ormai non si può più eludere la discussione su questo tema tra i medici italiani».

Quanto alla Margherita, Giuseppe Fioroni ritiene che in Italia non è necessaria una legge sull'eutanasia, ma è sufficiente regolare l'accanimento terapeutico: «In realtà ci sarebbe bisogno solo di rispettare la coscienza professionale del medico, che sa bene la differenza fra cura e accanimento». Quindi vanno regolati «i casi in cui questa coscienza non interviene e degenera nell'accanimento terapeutico».

Data: 
Mercoledì, 3 April, 2002
Autore: 
Fonte: 
IL GAZZETTINO
Stampa e regime: 
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