di Benedetto Della Vedova
Sul fronte dell'accesso al lavoro, le rigidità imposte dallo Statuto dei Lavoratori e dalla sovrabbondante regolazione non sono l'unico fattore di penalizzazione per i giovani "outsider": l'accesso alle cosiddette professioni liberali, regolato da ordini e albi, rappresenta una corsa ad ostacoli irta di inutili difficoltà, quando non di umiliazioni. I meccanismi corporativi proteggono gli « insider » dalla concorrenza e garantiscono loro confortevoli posizioni di rendita. Sui giovani « praticanti » in attesa dell'accesso all'Ordine, si scaricano molte delle inefficienze di un sistema rigido e burocratico. Con un'unica speranza di «giustizia »: quella che anch'essi, una volta cooptati, potranno rifarsi godendo della medesima rendita; riproducendo così una catena di iniquità e di inefficienza.
La liberalizzazione dell'accesso alle professioni, attraverso l'abolizione o la radicale riforma degli ordini professionali, è tema di inconcludenti discussioni da qualche lustro. Le ragioni di chi si oppone, si tratti di notai o farmacisti, architetti o psicologi, commercialisti o ingegneri sono sempre le stesse: garanzia della qualità delle prestazioni per i cittadini, assicurazione del servizio nelle aeree marginali, rischi derivanti da una concorrenza « selvaggia » che non rispetti le «specificità». Per capirci: motivazioni del tutto simili a quelle contro i « pericoli » delle liberalizzazioni a suo tempo invocate dai monopolisti pubblici delle telecomunicazioni o dell'energia. Come accaduto spesso in questi anni, la via della liberalizzazione è ad un tempo indicata e richiesta dall'Europa. L'obbligo di consentire a tutti i professionisti, ovunque residenti nella comunità, la possibilità di svolgere anche in Italia la propria attività, cozza con il mantenimento delle forti restrizioni all'accesso alle professioni stesse garantite dagli Ordini.
Continui richiami ad una maggiore apertura e concorrenzialità, nonché all'adeguamento al regime comunitario, vengono dal Presidente dell'Antitrust, Giuseppe Tesauro. Alla liberalizzazione prima o poi si arriverà. Meglio prima, dunque, nell'interesse dell'economia italiana. Il ritardo con cui si sta concedendo il via libera alla costituzione delle società di capitali nel campo delle professioni, ad esempio, fa si che l'Italia fatichi, soprattutto nella fascia più elevata del mercato dei servizi professionali che richiede forme organizzative innovative, ad affrontare la concorrenza straniera, tanto da noi quanto in Europa e nel mondo. Ed il problema assumerà dimensioni ancor più gravi quando le barriere inevitabilmente cadranno.
Per l'attività del Governo sarebbe importante che venisse un segnale netto sulla volontà di liberalizzare in questo campo, cancellando rigidità e resistenze corporative anche nell'accesso a questa parte del mondo del lavoro. Sarebbe un modo per dare dimostrare che la volontà di fare riforme « a favore dei figli » vale a 360°, anche a costo di mettere in discussione interessi costituiti presumibilmente più vicini alla base elettorale della Casa delle Libertà.
Qualcuno dirà che l'apertura di nuovi fronti di « scontro » sarebbe un boomerang per il Governo. Non è così. Una maggioranza salda e un Governo di legislatura non possono e non devono temere un'agenda di riforme ampia e ambiziosa, anzi! L'opinione pubblica potrebbe meglio comprendere che il tentativo di dare una spallata liberale alle ossificazioni dell'economia italiana non è animato dalla volontà di « punire » il sindacato e gli interessi che esso difenderebbe, ma dal desiderio di renderla davvero più competitiva e più « equa », in particolare offrendo in modo generalizzato migliori occasioni alle generazioni più giovani.
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