L'aspetto invidiabile della morte di un corrispondente, di un fotoreporter o di un telereporter su fronti di guerra non viene mai messo in rilievo, eppure lo si deve alla loro memoria: sono morti invidiabili perché morti belle. Eroiche, per l'esperienza interiore della verità cercata e fornita, sono le morti di Raffaele Ciriello, della Cutuli e di quel folle monaco della verità, il corrispondente della Radio Radicale da Pristina e dalla Cecenia, lo straordinario Antonio Russo. Da martire, e ne sia il ricordo in benedizione, è invece stata la fine di Daniel Pearl, per mano di carnefici islamici.
Morire in guerra da inermi, essere uccisi senza la minima possibilità o intenzione di uccidere, è pura bellezza di morire. Perché resta impavidamente vera la sentenza di Menandro: «Colui che gli Dei amano muore giovane», e i nostri fratelli giornalisti caduti di rado hanno superato i quaranta. Nell'atrocità della prova, tra violenza e polvere, c'è un erompere di luce, il senso di un destino. Sfuggiti all'ergastolo della senescenza dogmatica, materialista e senza più limiti cui li avrebbe condannati la nascita occidentale.
Qui, gli ospizi che accolgono le nostre vecchiaie eccedenti, le nostre strabocchevoli usurpazioni di vita, sono depositi spaventosi di rottami di carne che soffre, di spettri privi di luce istupiditi da psicofarmaci. E chi dirà l'umiliazione, l'angoscia perpetua dell'invecchiare in solitudine, senza più l'occasione di compiere un'azione bella e nobile, senza la carezza di un amore, senza la visita di un'illuminazione, tra il rimbecillimento televisivo e l'attesa del medico implacabile nel protrarre tanta vergogna? Vite stroncate o vite salvate?
Quando entra in campo il coraggio, la forza interiore di affrontare dei rischi mortali, la salvezza (dall'inebetimento nell'abitudine e nella facilità) non è mai assente... Si è cosmopoliti, si appartiene al genere umano, e si ha la strana fortuna, quando la bara è fatta scendere dalla scaletta in un anonimo spazio aeroportuale, di ritrovare di colpo una patria, un suolo che accoglie, una maternità spirituale che riaffiora.
Chi era, fino a pochi giorni prima, soltanto un apprezzato, uno che fa un mestiere per vivere, uno per cui trepida soltanto qualche familiare, rientra sopra gli scudi, in una dignità di samurai senza sangue versato che il proprio, giovinezza spenta che vale diecimila interminabili vecchiaie.
di Guido Ceronetti