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Regime comunista, niente proteste - di Iuri Maria Prado

Testo: 

Circa una settimana fa, in Laos, "scomparivano" cinque cittadini stranieri in quel Paese: tre italiani, un belga e un russo. Si tratta di cinque politici e militanti radicali, uno dei quali, Olivier Dupuis, è segretario del Partito Radicale Transnazionale e deputato europeo eletto in Italia. Queste persone "scomparivano" dopo aver esposto uno striscione con scritto: "libertà e democrazia per il Laos". Motivo dell'arresto: "propaganda e adunanza sediziosa". E degli imputati s'è saputo qualcosa, finalmente, ieri: non sono morti, e pare che non riportassero segni di maltrattamento (ma essere arrestati in quesot modo, per questi motivi e con privazione di qualunque assistenza per giorni e giorni dovremmo considerarlo di per sé un maltrattamento, e grave).
Questo, comunque, è il fatto. Che cosa se ne può dire? Parecchio, ci sembra. In primo luogo: che dei diritti umani nel mondo ci si occupa perlopiù quando, eccezionalmente, qualche paese libero e democratico non lì tutela a sufficienza, ma non ci si occupa per nulla di quei diritti quando, normalmente, sono del tutto sacrificati nei Paesi dittatoriali e comunisti (oggi una definizione vale l'altra). Tanto per capirsi: se ti condannano per terrorismo negli Stati Uniti, e hai un avvocato che ti difende durante un processo pubblico, allora, un comunista che chiede la tua liberazione lo trovi sicuro; se invece ti sbattono in galera perché esponi un cartello che reclama diritto e democrazia, se ti accusano per questo di "eversione", allora inspiegabilmente il comunista tace. Ora uno può obbiettare: "Ma perché tiri sempre in mezzo 'sti comunisti?" .Risposta: perché ci sono. Ci sono qui da noi, a manifestare contro il sistema americano che concede un difensore ai terroristi. Ci sono qui da noi, a non manifestare contro un Paese in cui la democrazia è un reato e dove l'assistenza legale è sconosciuta. E ci sono, i comunisti, in tutti i Paesi che non per errore o eccezione, ma Per "sistema", negano ogni diritto umano, civile e politico mentre qui si discute della malvagità americana e sionista.
Ma la faccenda dei radicali ha poi quest'altro di emblematico: e cioè che non è una questione "loro". Certo, interessa (o almeno dovrebbe interessare) la sorte di quei cittadini, quattro dei quali europei, peraltro, e tre italiani. Ma il punto è che la situazione di cui essi "volutamente" si sono resi protagonisti rappresenta in realtà una condizione ben più grave e vasta di cui certo radicali non hanno chiesto la "liberazione" dei loro compagni: hanno chiesto che abbiano diritto a un processo. Non è come andare a Genova a spaccare vetrine. Non è come stravaccarsi tutte le sere nei salotti televisivi e fare comizi sull'imperialismo USA. È andare a manifestare dove è vietato manifestare, senza fare violenza ed esponendosi alle leggi ingiuste che opprimono interi popoli. Una cosa molto diversa, dunque. A cominciare, come si dice, dall'effetto che fa: in un caso vai sui giornali e gli opinionisti democratici si tolgono il cappello perché tu "combatti per un mondo migliore"; nell'altro caso vai in galera e non gliene frega niente a nessuno.

Data: 
Sabato, 3 November, 2001
Autore: 
Fonte: 
LIBERO
Stampa e regime: 
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