Chi li ha visti? Non mi riferisco ai radicali arrestati nel Laos, perche' quelli si sa dove sono, sono in galera. E nemmeno mi riferisco ai cinque oppositori che la dittatura laotiana ha incarcerato due anni orsono: perche' una qualche notizia su di loro la potrebbe dare solo la dittatura stessa, e se ne guarda bene.
Mi riferisco invece agli apostoli dei diritti umani, ai maifestanti contro i soprusi polizieschi, ai bardi della democrazia, ai cantori della liberta'. Desaparecidos. Muti. Assenti. In tutt'altre faccende affacendati. Sono troppo impegnati a combattere la globalizzazione. Non la globalizzazione della tirannia, che accomuna moltissimi Stati del pianeta (con l'eccezione, vedi caso degli Stati appartenenti all'Occidente). Ma la globalizzazione dell'hamburger e della Coca-Cola. Questi lottatori continui non si lasciano distrarre dalle iniquita' obbrobriose che avvengono proprio in quel Terzo Mondo cui dedicano i loro piu' amorevoli pensieri.
Secondo loro non vale la pena di darsene pensiero, perche', come affermava Toto', trattasi di "quisquilie", "pinzillacchere". Hanno ben altro a cui pensare le anime belle. Senza alcuna pretesa di esserlo noi volgiamo richiamare l'attenzione su questa vicenda che oltretutto coinvolge tre italiani, e che e' stata tenuta troppo in sordina. Il Laos, d'accordo, non e' Israele. L'Onu non si e' mai mossa, ne commossa, per lo scempio che il regime comunista, al potere dal 1975 vi fa dei diritti umani e di ogni regola di convivenza civile. Gli oppositori muoiono e soffrono silenziosamente, nel Laos, tra l'indifferenza generale. Nel 1999 cinque leader studenteschi avevano osato chiedere pubblicamente che il regime sollevasse un po' il suo tallone di ferro.
I cinque furono subito catturati: da allora non se n'e' saputo piu' nulla: ingoiati dal baratro della dittatura. Ci volevano quei matti di radicali per ricordarsi, nonostante la tragedia americana e Bin Laden, e nonostante il sanguinoso groviglio palestinese, della sorte di un gruppo di ragazzi capaci di sfidare un potere feroce. Kamikaze a modo loro: non per seminare morte, ma per chiedere liberta'. Cinque radicali -tanti quanti i giovani fagocitati dalla tenebra - sono dunque partiti per il Laos con l'intenzione di celebrarvi, con una protesta, il secondo anniversario della scomparsa. Erano tre italiani, il consigliere regionale del Piemonte Bruno Mellano e due suoi compagni, Silvia Manzi e Massimo Lensi. Inoltre il parlamentare europeo belga Olivier Dupuis eletto in Italia e il russo Nikolaj Kramov. Venerdi' scorso a mezzogiorno, gli esponenti radicali sono stati presi in consegna dalla polizia. Rischiano una condanna a cinque anni di carcere, ma tutti ci auguriamo che quest'infamia non si avveri. E' probabile che l'ambasciata italiana ottenga il loro rilascio, magari profondendosi in scuse.
Ma in attesa dell'epilogo giudiziario della vicenda - che comunque non risolvera' il mistero dei cinque scomparsi - bisogna pure prendere atto, non con stupore ma con indignazione, dell'apatia che ha colto nella circostanza i piu' sfrenati movimentisti. Tacciono i Casarini e gli Agnoletto, e passi: sappiamo gia' di che pasta sono fatti, e quanto opportunismo furbetto si nasconda sotto il mantello antiglobalizzatore. Ma tacciono la sinistra spontaneista e la sinistra ufficiale, pronte a scatenare un putiferio se a una turba di manifestanti viene impedito di spaccare vetrine e sfasciare automobili. Tace don Vitaliano, che marcia contro i McDonald's ma non avverte l'impulso di correre nel Laos per portare la sua solidarieta' sia agli scomparsi locali sia ai radicali messi in gattabuia.
Forse si giustifichera', don Vitaliano, spiegando che in Italia chi manifesta corre un grosso rischio e nel Laos nessuno: percio' lui, da prode combattente, sceglie per le sue battaglie il terreno piu' pericoloso, l'Italia, a fianco delle tute bianche e nere. Tace in larga misura l'establishment politico. Capisco la Farnesina, che prefrisce agire nell'ombra ed evitare scontri: e' nella sua tradizione e nella sua tecnica.
Ma altri personaggi sia dell'opposizione sia della maggioranza avrebbero potuto dare segno di vita. In particolare dovevano darlo gli ex comunisti, che le efferatezze del Laos richiamano ad una fede purtroppo professata in passato. Tace persino Baltasar Garzon, il magistrato spagnolo che ha per sua giurisdizione il mondo ma prefrisce trattare faccende coinvolgenti nomi celebri. Ne gli studenti, che nessuno ha piu' visto, e che forse nessuno vedra' mai piu', ne' i radiclai arrestati hanno nomi altisonanti. Volete mettere Pinochet? E poi chi lo conosce questo Laos che sembra il nome di una discoteca o d un complesso rock?
Bisognerebbe che i tanti dormienti si dessero una sveglia. Altro che antiglobalizzazione. Qui si tratta di ricordare e sostenere - come hanno meritoriamente fatto i matti radicali - che la democrazia, i diritti umani, il modello occidentale non sono la causa, ma la soluzione - dei problemi che affliggono il Terzo Mondo. La mancanza di cibo va di pari passo con la mancanza di liberta', ed e' significativo.