Intorno alle 20.00 del 12 maggio 1977, al termine di una giornata contraddistinta da un comportamento per tanti versi letteralmente criminale e criminogeno delle forze dell'ordine, morì a Roma, nei pressi di Ponte Garibaldi, raggiunta da un colpo di pistola alla schiena, la diciannovenne Giorgiana Masi. Ma nella stessa giornata, già a partire dalle 13.00, squadre speciali di poliziotti travestiti da "autonomi" avevano provveduto -facendo largo uso di armi improprie, di pistole non di ordinanza e di candelotti lacrimogeni sparati ad altezza d'uomo- a malmenare, a colpire e a ferire decine e decine di cittadini inermi, colpevoli di voler partecipare alla festa organizzata dal Partito Radicale a Piazza Navona per celebrare il terzo anniversario del referendum sul divorzio e per completare la raccolta di firme sugli "otto referendum contro il regime". Una festa, quella dei radicali, che aveva il torto di opporsi al provvedimento governativo, sollecitato dal Ministro degli Interni Cossiga, che, in palese violazione dell'articolo 17 della Costituzione, aveva sancito il divieto generalizzato di manifestazione nella città di Roma. Quel divieto aveva già subìto significative deroghe nelle settimane immediatamente precedenti il 12 maggio (si pensi, solo per fare un paio di esempi, alle celebrazioni del 1° maggio o alla "festa della musica" organizzata qualche giorno prima dalla Rai), ma, in occasione della manifestazione nonviolenta dei radicali, divenne il pretesto per organizzare il pestaggio -e, potenzialmente, l'assassinio- di tutti coloro che, manifestanti o passanti, potessero essere "sospettati" di volersi recare a Piazza Navona. A più di vent'anni di distanza da allora, i radicali possono oggi confermare il proprio giudizio sui fatti del 12 maggio: la morte di Giorgiana Masi non fu un "incidente", ma fu il "bilancio insoddisfacente" di un'operazione a suo modo grandiosa, volta, nelle intenzioni dei suoi organizzatori, a provocare una strage, ad estendere a tutto il paese il divieto anticostituzionale di manifestazione, a criminalizzare il Partito Radicale e, in ultima analisi, ad imporre definitivamente agli italiani l'"alternativa" tra Brigate Rosse da un lato e governo di unità nazionale Dc-Pci dall'altro. Cosa resta, ancora, di quel tragico 12 maggio? Dal punto di vista giudiziario, resta la straordinaria opera di insabbiamento messa in atto dalla magistratura romana, che, nonostante il copioso materiale fornito dal Partito Radicale (55 testimonianze dirette, due filmati, un libro bianco, svariate perizie balistiche, centinaia di fotografie -divennero celebri quelle, pubblicate da "Il Messaggero", che ritraevano l'agente Santone in tenuta da autonomo impegnato a sparare ad altezza d'uomo-), ha sostanzialmente rinunciato ad individuare qualunque responsabilità, dopo avere omesso per anni di avviare indagini significative sui fatti denunciati. Dal punto di vista parlamentare, resta il comportamento del Ministro degli Interni Francesco Cossiga, che non solo mentì al Parlamento, ma fu, per così dire, costretto a "inseguire" e a "correggere" con nuove menzogne le menzogne di volta in volta svelate dai radicali e dalla stampa. A titolo puramente esemplificativo, ricordiamo che il 13 maggio il Ministro disse che la polizia era stata aggredita da guerriglieri che sparavano; il 14 negò che fossero stati impiegati agenti in borghese; il 15 ne ammise la presenza ma sostenne che non erano armati; il 16 dichiarò che gli agenti erano sì armati, ma che non avevano comunque sparato; il 17 affermò che nessun poliziotto aveva sparato, nemmeno fra quelli in divisa; il 18 sostenne infine che non poteva più parlare perché la magistratura aveva aperto un'inchiesta. Ogni commento è superfluo, anche 24 anni dopo. Dal punto di vista più strettamente politico, restano la sostanziale copertura e la complicità attiva offerte dal Pci al governo di Andreotti e di Cossiga. Trombadori definì il divieto di manifestazione "un divieto democratico e di lotta"; Pecchioli non esitò a qualificare come "legittimo ed utile" l'impiego di squadre speciali di poliziotti in borghese; D'Alema padre, infine, arrivò a sostenere in Parlamento che i radicali dovevano ormai essere considerati "alleati soggettivi" -nemmeno oggettivi, dunque- di chi voleva in Italia "il regime dei colonnelli". Tutto questo, a ben vedere, costituì una significativa anticipazione del ruolo "istituzionale" e "responsabile" che i comunisti avrebbero scelto di interpretare un anno più tardi, imboccando definitivamente la strada della "fermezza" e decretando, in ultima analisi, la messa a morte di Aldo Moro. Nella galleria del "caso Giorgiana Masi", merita infine di essere ricordato un episodio che illustra il comportamento del servizio pubblico della Rai-tv, che si incaricò di accecare i cittadini più e meglio di quanto non avessero già fatto a Piazza Navona i gas lacrimogeni. Il 26 maggio, nel corso di una "Tribuna politica", Marco Pannella riassunse i fatti avvenuti due settimane prima e ribadì le puntuali e documentate accuse dei radicali al Governo e alle forze dell'ordine. La Tribuna andò in onda, ma fu preceduta da una nota della Commissione parlamentare di vigilanza che denunciava "il contrasto dell'intervento di Pannella con i princìpi di lealtà, di correttezza e di obiettività cui i partiti si erano impegnati nell'uso delle Tribune", e fu seguita da un comunicato del Ministero degli Interni che da un lato definiva le accuse rivolte al Governo "gravissime, ingiuriose e infamanti, se provenienti da altri; ma, pronunciate da Pannella, solo indecenti, sconsiderate, inutilmente provocatorie, da respingere con sdegno misto a profonda pena", e dall'altro esprimeva comunque la soddisfazione del Ministro perché la trasmissione avrebbe certamente consentito ai cittadini "di vedere per oggi e per domani l'onorevole Pannella per quello che è". Due giorni dopo, commentando la Tribuna dalle colonne de "L'unità", il corsivista Fortabraccio definì Pannella un "furgone della nettezza urbana", "un guitto" bisognoso di essere "tosato e pettinato", e, in ultima analisi, "un mediocrissimo commediante" che aveva riversato sugli ascoltatori "un accesso ininterrotto di vomito".