Bonino nel campo di Zaatari: 500mila profughi, si rischia un'altra crisi
Quattro ore a Zaatari non sono certo le quattro ore di Jean Genet a Chatila. La storia dei campi profughi di Giordania non è e non sarà più di morte e massacri, e tantomeno di palestinesi come fu quello, ma i massacri di civili in Siria sono ancora la lotta antichissima «per riempire vite ricche ma brevi», sono ancora - come scrive Genet - la scelta di Achille nell'Iliade. E gli altri, le donne soprattutto, fuggono. Al di là del confine i profughi siriani trovano un riparo giordano, si chiama Al Zaatari. In un paio d'anni è nata ed esplosa una città della speranza, 130 mila persone sotto tende e container, 40 gradi d'estate e neve d'inverno. «Il 75 per cento di loro sono donne, la gran parte giovanissime, quando mi raccontano le loro storie io mi vergogno di essere maschio, mi vergogno ogni volta» dice Giuseppe Belsito, del progetto Oasis di United Nation Women. Gli Achille siriani, che perpetuano l'eccidio di Patroclo, le lasciano qui, e tornano alla loro Iliade. «Spesso, anche perché sono incinte, ogni settimana qui a Zaatari ci sono 72 parti, altri bambini oltre i circa 60 mila che già ci sono» dice Dominique Hyde che indossa il giubbotto azzurro dell'Unicef. La gran parte delle donne è analfabeta, i bambini vanno a scuola. «Ma a loro serve cibo sano, non solo istruzione» dice in arabo - abbiamo un ministro degli Esteri che sa l'arabo, in Italia - una donna che abbraccia Emma Bonino chiedendole aiuto. Gli Achille che pure al campo ci sono, intanto organizzano proteste e lanci di sassi, come è successo un mese fa, al grido di «basta con solo tre razioni di pane sottovuoto al giorno», riporta il «Jordan Times». «Questo è il secondo campo profughi più grande al mondo. Dobbiamo procedere dividendo la città dei rifugiati in 12 minicittà, ognuna con un loro portavoce. E l'unica via possibile, per quanti sforzi facciamo non hanno fiducia in noi» dice a Bonino Killian Kleinschmidt, l'energico norvegese responsabile del campo per Unhcr.
Il campo in realtà è benissimo organizzato, svetta nel maneggiare il dolore dei corpi l'ospedale italiano che genialmente - a differenza dell'altro, francese - è stato affidato ai giordani. E la triste vita, quattro campi da calcio compresi, che si mena dietro fili spinati e cavalli di frisia, alimenta invidia tra poveri. La Giordania rischia di esplodere perché i rifugiati siriani non solo i 130 mila di Zaatari, ma si arriva a mezzo milione di profughi che vivono sparsi per cittadine e campagne «della generosità dei giordani e del regno hashemita», come la definisce l'ambasciatore Patrizio Fondi. «Qui vicino» dice Emma Bonino che ha voluto la missione con la commissaria Ue Kristalina Georgieva, «c'è un villaggio di tremila persone, e vedono che i rifugiati del campo vivono meglio di loro». Per questo, e perché Zaatari rischia di esplodere, presto si appronterà un altro campo, sulle alture aride nel deserto ventoso ad Arzak: Bonino lancia una richiesta di aiuti e di donazioni private all'Unicef. Strano ma felicemente verissimo, dall'organizzazione confermano che, nonostante la crisi, «gli italiani continuano a donare, generosamente». Ma intanto, il punto è politico. Il capo della diplomazia italiana, reduce pure dall'ultima riunione sulla Siria a Doha che ha dovuto spostare l'ancora immaginaria conferenza Ginevra 2 almeno ai primi di settembre, conferma che l'emergenza profughi continuerà: «Speriamo che l'opposizione siriana, che già sta divenendo più inclusiva, il 28 riesca a eleggere il suo nuovo "governo", a darsi leadership rappresentative, e vedremo quale sarà la componente militare. E vedremo come si porrà, sulla Siria, la nuova guida iraniana, Rohani, che non s'è ancora insediato. Ma quello che servirebbe è un cessate il fuoco». E questo, sembra proprio di là da venire. Mentre intanto, siamo tremendamente sotto pressione, ha ripetuto a Bonino anche re Hassan. Più deciso ancora il ministro dell'Interno, il generale Hussein al-Majali, che appartiene a una dinastia di premier e ministri del regno hascemita: la Giordania rischia di implodere, e anche se creassimo una buffer-zone, un cuscinetto magari di uno o due chilometri lungo il confine con la Siria, rischieremmo attacchi, e a quel punto con la Siria sarebbe guerra. Achille è sempre all'opera. Non è difficile intravederlo, non è un miraggio che balugina in fondo a quella distesa di ulivi incolti e deserto abbacinante che è la regione di Mafraq, un rettangolo tagliato col righello che si incunea tra la Siria a Nord, l'Arabia Saudita a Sud, e l'Iraq a Est. E da dove, per Achille, infiltrarsi a Zaatari è facilissimo.