Questa mattina sono stati notificati 26 avvisi di garanzia: in cima all'elenco, i tre ex commissari delegati Paolo Ciani, Gianfranco Moretton e Gianni Menchini, già indagati nella precedente indagine, e Gianfranco Mascazzini, per anni direttore generale del ministero dell'Ambiente
UDINE. Si erano inventati un'emergenza ambientale nella laguna di Grado e Marano, per ottenere i denari dello Stato e spartirseli tra loro: decine di milioni di euro a fronte di un inquinamento inesistente, al solo scopo di riempire le tasche di amministratori e imprenditori dal Friuli e dal Veneto a Roma, negli uffici del ministero dell'Ambiente, dove la truffa era stata concepita e da dove per dieci anni (dal 2002 al 2012) ha continuato a essere manovrata.
Due anni dopo lo scandalo delle bonifiche "fantasma" e la chiusura del Commissario delegato della laguna friulana decretato dall'allora premier Monti proprio alla luce del clamoroso bluff scoperto dalla magistratura udinese, è la Procura di Roma a riproporne il teorema e tornare alla carica con una seconda tornata di avvisi di garanzia: 26 quelli in notifica da stamani, tra Nord Est e Capitale, con nomi e contestazioni vecchi e nuovi.
In cima all'elenco, i tre ex commissari delegati Paolo Ciani, Gianfranco Moretton e Gianni Menchini (politici i primi due, tecnico il terzo), già indagati nella precedente indagine friulana, e Gianfranco Mascazzini, per anni direttore generale del ministero dell'Ambiente.
Nei guai anche Giovanni Mazzacurati, l'ex presidente del Consorzio Venezia Nuova e della Tethis srl di Venezia travolto dalla bufera giudiziaria sul Mose, e i legali rappresentanti delle società ingrassate a suon di finanziamenti per appalti di opere considerate adesso inutili o mai realizzate: Raffaele Greco, della cooperativa Nautilus, di Vibo Valentia, Alberto Altieri e Guido Zanovello, dello studio Altieri spa di Thiene, Vincenzo Assenza e Fausto Melli, della Sogesid srl di Roma, società in house del ministero dell'Ambiente. E, ancora, Marta Plazzotta, dirigente dell'Arpa di Udine, Massimo Gabellini, alla guida della II Direzione dell'Icram (ora Ispra) e Silvestro Greco, direttore scientifico del medesimo istituto, e Antonella Ausili ed Elena Romano, dell'istituto Ispra (già Icram) di Roma, cioè degli organi deputati a certificare lo stato di salute della laguna.
Per due terzi degli indagati, il pm romano Alberto Galanti ha formulato l'ipotesi di reato dell'associazione a delinquere, finalizzata al falso e alla truffa ai danni dello Stato. L'ammontare della truffa, contestata in concorso a tutti nei periodi di rispettiva competenza, è stato calcolato in circa cento milioni di euro. Mascazzini e altri (Menchini e le due ricercatrici dell'Ispra in un caso, tre manager di Sogesid nell'altro) sono accusati anche di abuso d'ufficio, in relazione agli interventi di messa in sicurezza della Caffaro di Torviscosa e al distaccamento presso il ministero di personale della Sogesid.
Un ulteriore filone riguarda le cosiddette "transazioni ambientali", cioè il pagamento di ingenti somme di denaro che numerosi imprenditori con immobili nel Sito d'interesse nazionale di Porto Marghera (tra cui l'Intermodale Marghera e Fincantieri) sarebbero stati costretti a scucire al ministero dell'Ambiente, che a sua volta li versava al Consorzio Venezia Nuova, per alimentare la struttura e per effetto delle quali l'obbligo di bonifica si trasferiva al dicastero stesso. Il quale, in tesi accusativa, non soltanto non vi avrebbe mai provveduto, ma avrebbe nel tempo incamerato qualcosa come più di 500 milioni di euro. Da qui, l'ipotesi del concorso in concussione a carico di Mascazzini e di suoi fedeli, oltre che di Mazzacurati.
Alle stesse conclusioni era sostanzialmente approdato già il pm di Udine, Viviana Del Tedesco, con la maxi-inchiesta culminata appunto nel 2012 nello smantellamento della struttura commissariale e nell'iscrizione sul registro degli indagati di decine di persone. A cominciare proprio dai commissari delegati e dai rispettivi staff, per i quali lo stesso magistrato aveva poi chiesto l'archiviazione. Chiusa la partita friulana, però, lo scorso marzo gli atti erano passati immediatamente ai colleghi di Roma. A chiederli era stato il procuratore capo in persona, Giuseppe Pignatone, secondo il quale l'indagine andava non soltanto ripresa, ma soprattutto estesa agli ambienti ministeriali.
Il risultato sono le quasi cento pagine scritte in questi mesi dai magistrati, ancora una volta al lavoro "in tandem" e che descrivono un sistema di finte rappresentazioni ambientali, di appalti milionari per lavori di carotaggio, analisi e bonifiche mai realizzati o semplicemente non necessari e di tangenti camuffate da transazioni ambientali.
Ad aggiungere elementi di prova all'inchiesta, oltre alla marea di intercettazioni effettuate nel corso dell'indagine, sono state le dichiarazioni raccolte da due testimoni "eccellenti": Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani Costruzioni (il grande accusatore dello scandalo sul Mose) e l'ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni.
Nell'informazione di garanzia sono rientrati anche i nomi dei soggetti attuatori che affiancarono i vari commissari delegati: come Dario Danese, Giorgio verri e Vito Antonio Ardone.
"Ripescato" anche Francesco Sorrentino, già ingegnere capo del Genio civile di Gorizia, in qualità di responsabile del Procedimento.
L'elenco degli indagati continua con Simone Fassina, dipendente della società Sviluppo Italia spa, distaccato al ministero dell'Ambiente, Andrea Barbanti, già responsabile di Thetis e consulente di Sogesid, Franco Pasquino e Giorgia Scopece, rispettivamente già commissario e dipendente di Sogesid, Maria Brotto, amministratore delegato di Thetis, Everardo Altieri, vice presidente dello studio Altieri. Nei guai, inoltre, Giampaolo Schiesaro, già avvocato dello Stato di Venezia.
Il sistema. Lui garantiva i fondi e loro, in cambio, distribuivano posti di lavoro e incarichi di consulenza ai suoi amici o a quelli segnalati dal politico di turno. E' un sistema clientelare basato su una fitta rete di collusioni tra l'ex direttore generale Mascazzini, un ristretto numero di società a lui vicine e alcuni esponenti della politica nazionale e regionale quello che emerge dalle carte dell'inchiesta sulla mala-gestione del Commissario delegato per l'emergenza socio economico ambientale della laguna di Grado e Marano.
Per pilotare il denaro pubblico a proprio piacimento e assicurarsi così “la supina ubbidienza di una corte di persone di fiducia”, Mascazzini si sarebbe avvalso di un duplice escamotage. Da una parte, ad assecondarne i piani sarebbero state le società in house al ministero dell'Ambiente (Sogesid e Sviluppo Italia) alle quali poteva assegnare le opere di cui il dicastero necessitava in assenza di gara (proprio per la loro natura pubblica), pretendendo di contro l'assunzione di persone da lui stesso individuate o indicategli dagli onorevoli, gli assessori e i ministri con i quali aveva intrallazzato. Il meccanismo sarebbe stato lo stesso messo a punto a Venezia, dove la presenza di un concessionario unico – il Consorzio Venezia Nuova – consentiva una gestione in proprio degli appalti.
Dall'altra parte, a garantire la disponibilità di “soldi sicuri e immediati” c'era il trucchetto delle transazioni ambientali. Ossia di uno strumento per rastrellare fondi dalle imprese che intendevano costruire sulle aree comprese nel Sin. Stando alle notizie raccolte dagli investigatori, per convincere le aziende a transare, alcuni funzionati ministeriali non avrebbero esitato a minacciare l'invio di ispettori e l'intervento di possibili altri fastidi burocratici su quelli o altri progetti.
Pressioni neanche troppo velate, insomma, finalizzate a indurre le aziende a non opporre resistenza alle richieste di denaro. Del ricorso a scorciatoie e metodi non proprio ortodossi gli inquirenti hanno avuto riscontro sia dalle intercettazioni, sia dalle testimonianze di persone (Baita, Orsoni e alcuni degli imprenditori sentiti) trascinate, talvolta loro malgrado, nel giro di Mascazzini.
A pagare le conseguenze della truffa e del mancato utilizzo delle erogazioni statali per gli scopi per i quali erano stati stanziati (la bonifica delle uniche sezioni di laguna realmente inquinate) sarebbe stata anche la Regione Friuli Venezia Giulia. Ossia l'ente tenuto a finanziare per oltre la metà l'attività commissariale: sia gli stipendi a tutti i componenti della struttura (fino a 30-40 mila euro l'anno, a fronte della partecipazione a qualche riunione) e ai consulenti incaricati da Mascazzini, sia le inutili attività preliminari di sistematica caratterizzazione e analisi dei sedimenti, ogniqualvolta si procedeva ai dragaggi dei canali lagunari, sul falso presupposto che fossero inquinati.
“Come avveniva su tutto il territorio nazionale – scrive il pm Galanti –, la mancata soluzione dei problemi era funzionale al mantenimento del meccanismo emergenziale e delle sue esigenze”. Così per la laguna di Grado e Marano. “Una volta ottenuti i finanziamenti – è ancora la tesi della Procura -, per la bonifica del sito nulla veniva destinato. I soldi si perdono in mille rivoli, costituiti da incarichi di progettazioni, carotaggi continui, dragaggi. Ma nulla a che vedere neanche lontanamente con attività di bonifica”. L'esempio più lampante, in tal senso, è quello riferito alla gestione Moretton (2006-2009).
“I fondi vengono dirottati verso altre opere di ripetitiva caratterizzazione dei canali navigabili – continua il pm -, dragaggi e finanziamento della struttura commissariale, oltre che di tutti i soggetti che gravitavano nell'orbita del ministero, in qualità di consulenti, ovvero negli organismi pubblici di controllo che svolgevano varie attività di monitoraggio, tanto costose, quanto fasulle”. L'obiettivo era per lo più quello di fare risultare concentrazioni di mercurio metilato superiori a quelli reali. La truffa sarebbe cominciata proprio dall'ingigantire un'emergenza ambientale che gli inquirenti ritengono limitata alla sola area dello stabilimento industriale ex Caffaro e al connesso canale Banduzzi.